“Caso Stamina una catena di responsabilità”, Mario Calabresi sulla Stampa

Manifestazione pro Stamina (LaPresse)

ROMA – “Caso Stamina, una catena di responsabilità”. Questo il titolo dell’editoriale a firma di Mario Calabresi, direttore de La Stampa, sul quotidiano torinese:

Quando potremo finalmente guardare alla vicenda Stamina con un po’ di distanza e di freddezza non potremo non chiederci come sia potuto accadere.

Come è potuto accadere che un uomo che non aveva alcuna competenza scientifica come Davide Vannoni sia arrivato a far sperimentare un presunto metodo di cura delle più svariate malattie – tutte con la caratteristica di essere considerate praticamente incurabili – in un ospedale pubblico?

Le risposte non potranno essere né semplici né univoche, perché le responsabilità sono molte e diffuse.

Ieri sulle pagine di questo giornale tre professori, tra i più illustri che abbiamo in Italia, hanno duramente polemizzato con la trasmissione televisiva «Le Iene» accusandola di aver fatto del sensazionalismo e di essere stata cassa di risonanza di un inganno. Davide Parenti, ideatore del programma, ha respinto le accuse sottolineando di aver preso a cuore le vicende di un gruppo di famiglie abbandonate a se stesse di fronte alla malattia e senza risposte dallo Stato. Ma soprattutto ha spostato l’oggetto dell’accusa, puntando l’indice su tutte le responsabilità istituzionali che hanno permesso la cosiddetta sperimentazione.

Io penso che Parenti sottovaluti la forza del mezzo che usa e del format che ha inventato: «Le Iene» sono vissute da moltissimi cittadini come un vendicatore di ingiustizie: così nel momento in cui io vedo in tv un bambino gravemente malato e mi si spiega che gli sono state interrotte le cure allora penso immediatamente che tutto ciò sia ingiusto e che chi le ha interrotte sia per lo meno una persona schifosa.

Il problema è interrogarsi sul perché e non lasciarsi prendere dalla rabbia. E questo non significa non avere a cuore i malati, perché il rispetto passa dal coraggio della verità non dal lasciarli in mano ai ciarlatani o ai truffatori. Per questo da settimane a «La Stampa» scaviamo in questa storia cercando di capire come è potuta nascere e crescere senza barriere e freni.

Ma le obiezioni di Parenti mi hanno spinto a rimettere in fila i fatti e a vedere come le responsabilità siano davvero molte e vadano al di là dell’elenco delle persone che sono oggetto dell’inchiesta del procuratore Guariniello. Penso a quelle responsabilità che in questa storia spesso si presentano nella forma di omissioni.

Perché quando una vicenda va così lontano bisogna innanzitutto chiedersi dove siano finiti i meccanismi di controllo che dovrebbero esistere per proteggere i malati e i loro familiari. Primo tra tutti penso al Comitato etico degli Spedali di Brescia, che ha dato il via libera alle infusioni: ma non si sono interrogati sul rapporto rischi-benefici e non è suonato nelle loro teste nessun campanello d’allarme?

Quando poi sia i Nas dei carabinieri che l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) bloccarono la sperimentazione – eravamo a maggio del 2012 – perché il ministero della Sanità e il Parlamento non ebbero il coraggio di andare subito a fondo della questione e di essere conseguenti? Invece la politica mise il suo timbro. Il Senato addirittura, sollecitato dall’attivismo della senatrice Bonfrisco, arrivò a votare all’unanimità un emendamento che prevedeva fosse data la possibilità della sperimentazione a tutti coloro che hanno malattie rare in Italia. Un plebiscito figlio di una deriva emotiva che non è tollerabile da chi ha la responsabilità delle leggi e della tenuta del sistema sanitario. Grazie al cielo l’emendamento venne cancellato da un sussulto di senso di realtà della Camera.

C’è da chiedersi inoltre se l’Istituto superiore di sanità come il Centro nazionale trapianti (chiamato in causa in quanto il metodo Stamina voleva essere presentato come un trapianto che esula quindi dal controllo dell’Aifa) non debbano essere delle sentinelle di ciò che accade nella nostra sanità, con una maggiore indipendenza dalla politica (…)

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FIlippo Limoncelli