MADRID, SPAGNA – Orgoglio italiano. Carlo Ancelotti è nella storia del Real Madrid perchè è l’allenatore che ha conquistato la Decima Champions League. I blancos cercavano questa impresa da 12 anni. Ne parla La Gazzetta dello Sport in un editoriale a firma di Paolo Condò.
“La Decima non arriva nel secondo tempo supplementare, quel che accade lì è soltanto una conseguenza. La Decima plana nella straordinaria bacheca del Real Madrid al terzo minuto di recupero della ripresa, mentre la sua gente è al culmine della disperazione, le sue stelle claudicanti non riescono più a ricacciare le lacrime in gola e i guerrieri dell’Atletico, per quanto esausti, si guardano trionfanti. La Decima ha la forma del corner delizioso di Luka Modric, grande regista di questo kolossal, e dell’impatto perfetto di Sergio Ramos, che con quel colpo di testa trattiene sull’orlo del burrone tutti i compagni ormai quasi precipitati. Gli uomini del Real riguadagnano faticosamente la luce dal pozzo nel quale stavano cadendo, mentre l’eclisse getta nell’ombra i loro avversari. Epica pura, ad altissima tensione, in campo e nelle gradinate, dove due popoli si scambiano gli stati d’animo nella più feroce delle maniere possibili: l’Atletico era arrivato a due minuti dal trionfo – la Champions dopo la Liga – e vede tutto sfumare proprio sul traguardo.
Sentenza scritta Non ci sono molti dubbi, a quel punto, su cosa possa succedere. All’inseguimento della sua quinta Champions personale, il favoloso Carlo Ancelotti s’era preso rischi inevitabilmente enormi allo scadere dell’ora di gioco: squadra infarcita di attaccanti e mezze punte, perché a quel punto non c’era più un domani col quale fare i conti. Il pari di Ramos, da leggere anche come un indennizzo alla colossale sciocchezza di Casillas sullo 0-1 (i due sono i capitani del Real), teoricamente andrebbe gestito dall’Atletico, a quel punto in formazione più quadrata. Ma la realtà è che non c’è più un grammo di fiato e di energia nella squadra di Simeone, che sopravvive i primi 15’ dell’extratime facendo un po’ la faccia feroce, ma nei secondi crolla. Juanfran cammina, Tiago è esaurito, Koke si regge il fegato, persino Godin ha le mani sui fianchi. Il razzente Di Maria dà il primo colpo alla pietra per farla rotolare a valle: centesimo dribbling da manicomio, il tiro incoccia sulla gamba di Courtois e s’impenna verso destra, dove la testa di Bale le assesta il colpo di grazia. E’ la sentenza: l’elettrico Marcelo – innesto felicissimo – e un rigore di Ronaldo le danno proporzioni maramaldesche, ma non c’è proprio nulla da dire sul fatto che Ancelotti e i suoi abbiano meritato. L’Atletico è stato al solito esaltante e commovente per grinta, abnegazione, solidarietà di squadra e capacità di capitalizzare la minima chance, ma alla lunga è emersa la diversa qualità del calcio madridista.
Diego Costa k.o. Il presagio iniziale era stato chiaro. Le azioni della placenta di cavallo crollano in tutte le Borse dopo soli 9 minuti. Il bluff della guarigione di Diego Costa – chiaro errore di Simeone, ma in certe serate sono i giocatori a imporsi – costringe il Cholo a spendere subito un cambio, e l’ingresso di Adrian ripropone pari pari la formazione che sabato a Barcellona ha vinto la Liga. L’altra guarigione miracolosa, quella di Benzema, regge un po’ di più perché il francese almeno resta in campo: ma il suo apporto è quasi nullo. Ancelotti alla vigilia era preoccupato per la scarsa condizione di diversi dei suoi uomini, e la prima fase del match gli dà ragione visto che il Real tiene sì palla provando qualche percussione, ma senza alcuna elettricità. L’Atletico tiene basso il ritmo riorganizzandosi attorno a Gabi e la partita – decisamente grigia – assomiglia a una lunga anticamera nello studio del dentista: attenta, inquieta, unghie mangiate, meglio provare un’altra volta a smettere di fumare. Nel Real piace Modric, che raccoglie su di sé i soliti compiti più la metà costruttiva di quelli di Xabi Alonso, e soprattutto Di Maria, dribblatore di sublime eleganza, ed efficacia: prima Raul Garcia e poi, nella ripresa, Miranda sono costretti a caricarsi di un cartellino giallo per fermarlo. Il problema è che questo buon lavoro ai fianchi della prima linea di difesa colchonera non trova le sponde avanzate né di Benzema – e abbiamo visto perché – né di Ronaldo, altro illustre recuperato, ma certo non del tutto. Succede così che la palla giusta, la prima della serata, capiti sul piede di Bale: la sua fuga per la vittoria, però, viene sporcata al momento del tiro da uno dei satanassi a disposizione di Simeone, il centrale Miranda. La palla sfila a un palmo dal palo, e in tribuna c’è chi ricorda che il brasiliano è costato all’Atletico soltanto pochi spiccioli dopo essere stato offerto in Italia senza successo. Avranno pensato che era il film di Tinto Brass. Il vantaggio di Godin arriva quattro minuti dopo come un temporale d’estate, improvviso e devastante perché l’errore in uscita è davvero indegno di Casillas. Da lì in poi comincia il romanzo della difesa colchonera e del disperato coraggio madridista, chiuso come abbiamo visto da una goleada esagerata e dal parapiglia finale, che in un calo di tensione così verticale ci può anche stare. E saremo anche dei sempliciotti, ma vedere le due tifoserie – sia pure con facce diverse – applaudire i loro eroi per minuti e minuti dopo il fischio finale è uno spettacolo da pelle d’oca”.