ROMA – Trama del nuovo film? “Il tema – dice, intervistato da Repubblica, Checco Zalone – è un uomo, che sono sempre io, Checco, l’ultimo fortunato che ha il posto pubblico fisso, inamovibile, finché arriva la riforma e viene messo in mobilità. Racconto l’odissea di quest’uomo che pur di non lasciare il suo posto fisso è disposto ad andare sino in Norvegia. Da un ufficio a tre metri da casa affronta un cambio radicale di vita che lo porterà in una cultura totalmente diversa da quella italiana, fatta di gente virtuosa, civile, efficiente, dove il welfare è molto forte. Però sono tutti depressi. E si uccidono. Perché? Lo scoprirete vedendo il film”.
Checco porta una sferzata di vita in Norvegia?
«Il contrario! In realtà sono io che all’inizio vengo totalmente rapito da questo mondo. Imparo il norvegese, faccio la coda tanto per allenarmi a fare la coda, e mi innamoro di una ricercatrice, un’italiana che si è trasferita lì. Per la prima volta giriamo all’estero. Io e Gennaro cercavamo anche a livello di immagine di dare qualcosa di nuovo. In Italia si fanno tantissime commedie, e bene o male i posti sono sempre quelli, anche perché si gira dove ci sono Film Commission che ti aiutano. Quindi noi in barba alle Film Commission (ride, ndr) andiamo nel posto più costoso del mondo, dove una pizza e una birra costano 70 euro! Li volevo mandare al diavolo, il ristorante era pure di un italiano».
Tutto il film sarà girato in Norvegia?
«No, no. Si parte dalla Puglia, poi la mobilità mi porterà a Lampedusa, fra i profughi, poi in Val di Susa fra i No Tav. Poi in Sardegna. Fino a quando verrò spedito vicino al Polo Nord».
Uscire dall’Italia è anche un tentativo di raggiungere un pubblico diverso?
«Questo è il mio sogno. Mi hanno visto in 8 milioni per Sole a catinelle , quindi o si moltiplicano gli italiani o fare di più è impossibile. E’ un sogno, ma difficilissimo. Un giorno mi piacerebbe fare un film in inglese ».
Farà nuove canzoni per il film?
«Sì, le sto scrivendo. Per ora ho solo una canzone in inglese un po’ maccheronico e un’altra che vorrei fare come un pezzo di Adriano Celentano, “La prima repubblica non si scorda mai”. È così che nasco, volevo fare il cantautore e scrivere cose d’amore, ma erano veramente brutte, allora per ovviare a questo durante le serate dicevo una idiozia al microfono e funzionava molto di più. Ma dentro di me volevo essere un De Gregori».
Con cui ha poi finito per cantare.
«Sì, ed è stato fantastico! Siamo diventati amici. Abbiamo fatto un incontro pubblico, lui ha cantato una canzone mia, io una sua. Il terra terra e l’intellettuale».
Nei suoi film tratta sempre temi dell’attualità.
«Cerchiamo di usare la commedia italiana per questo. In un film era la fine del berlusconismo, in un altro l’Islam, il terrorismo, anche se oggi non lo rifarei».
Che confine c’è fra fra satira, ironia e offesa?
«Sta alla sensibilità del comico comprenderlo. C’è un punto in cui bisogna fermarsi. Per esempio in questo nuovo film avevo una scena con un ragazzo Down, poi l’ho trovata gratuita, stupida e l’abbiamo levata. In un mio film c’è una sequenza in un locale gay in cui parlo degli “uominisessuali”. Qualcuno mi ha scritto lamentando di averla trovata omofobica, non capendo niente, perché il mio è un personaggio così ignorante da credere che l’omosessualità sia una malattia e quindi cercava di fare una raccolta fondi per aiutare la ricerca. Mi sembrava divertente. Il 99% della comunità gay quando mi incontra per strada mi abbraccia».
Come spiega il successo strepitoso dei suoi film?
«É vero, i miei film hanno avuto un successo commerciale spropositato. Non so perché, ce lo diranno i sociologi. Probabilmente io e Gennaro lavoriamo bene nel cogliere degli aspetti della società contemporanea. Ma paradossalmente è più la gente comune che lo nota, il critico giustamente non dà valore a questa roba perché ha altri codici, valuta l’immagine, cosa che noi non sappiamo fare. A me manca la fascia media. Io piaccio all’italiano terra terra o a De Gregori, all’intellettuale. Quello di mezzo mi tiene sul c… (ride). Però mi piace sentirmi osteggiato da alcuni perché mi da coraggio ».
Non si sente incompreso dunque?
«No, ma quale incompreso! Mi sento fin troppo compreso».
Non le va mai stretto il personaggio di Checco Zalone?
«No. Però ogni giorno dico che non voglio più fare questo mestiere. Ma non per Checco Zalone, non per rinnegare il mio essere nazional popolare, ma perché le responsabilità aumentano, e questa ansia, questo terrore di dover affrontare il pubblico aumenta. Io non faccio televisione, non faccio pubblicità, non mi piace fare interviste, ma non perché sono snob, ma perché vivo il momento pubblico con grande ansia. Ma non ho mai sentito che quello che faccio è roba bassa, anzi».