“Chi di gogna ferisce, di gogna perisce”, Vittorio Feltri sul Giornale

 "Chi di gogna ferisce, di gogna perisce", Vittorio Feltri sul Giornale "Chi di gogna ferisce, di gogna perisce", Vittorio Feltri sul Giornale
“Chi di gogna ferisce, di gogna perisce”, Vittorio Feltri sul Giornale

ROMA – “Chi di gogna ferisce, di gogna perisce” scrive Vittorio Feltri sul Giornale: “Prima Maria Novella Oppo, giornalista dell’ Unità , poi Francesco Merlo, editoriali­sta della Repubblica (già del Corrie­re della Sera ). Entrambi messi all’in­dice da Beppe Grillo che li ha «sgri­dati» a modo suo sul proprio blog per aver osato criticare il Movimen­to 5 stelle. Era fatale…”

Leggi l’editoriale:

Vorrei però dire alla collega dell’ Unità di non soffrire esage­ratamente. Può riuscirci. Ba­sta che rifletta: quante volte lei, magari senza rendersene con­to, ha vergato articoli che han­no piagato il cuore altrui? Nel nostro mestiere capita di sba­gliare o di eccedere nelle criti­che. Non dobbiamo pertanto lagnarci troppo se poi alcuni usano contro di noi le stesse ar­mi, sia pure più sgangherate, che noi abbiamo usato contro di loro o contro i loro amici. C’est la vie.
Per Francesco Merlo vale il medesimo discorso. Ho letto ieri il suo amaro articolo: ho ca­pito che le pugnalate da lui rice­vute stentano a rimarginarsi. La prosa, meno brillante del consueto, è una specie di car­tella clinica dello stato d’ani­mo dell’autore. A nulla sono serviti gli sforzi per maschera­re il dolore che viene comun­que fuori da ogni frase.
Conobbi Francesco a metà degli anni Ottanta, quando esordì in redazione al Corriere . Era timido e garbato. Stava se­duto al mitico tavolone alberti­niano, una copia di quello del  Times : ripiano inclinato e lam­pade verdi che illuminavano le Olivetti. Come tutti, anche lui per alcuni anni sgobbò (si fa per dire) a raddrizzare i pezzi dei redattori con diritto di fir­ma, regolarmente invidiati dai passacarte anonimi.
Merlo non tradiva malumo­ri. Semplicemente non parla­va. Per mesi non udii la sua vo­ce. Biondo, perbenino, educa­to, la sua presenza era inavver­tibile. Un giorno lo mandaro­no, causa assenza degli inviati di ruolo,su un servizio. L’indo­mani lessi il reportage e lo tro­vai eccellente, per quanto po­tesse valere il mio giudizio: molto curato, bene impostato, completo, addirittura diver­tente. Pensai: questo qui, se sa­rà messo in condizione di farsi notare, andrà lontano.
L’uomo mi aveva talmente incuriosito da indurmi a inter­rogarlo. Parlava volentieri, con un lieve accento catanese; era un buon conversatore, acu­to e arguto. Anni più tardi, quando ormai me n’ero anda­to da via Solferino, vidi sulla pri­ma pagina del Corriere – diret­tore Paolo Mieli – un suo fon­do. Lo bevvi avidamente e sorri­si soddisfatto. Avevo visto giu­sto: era bravo. Non so perché, a un certo punto Merlo passò al­la Repubblica , e constatai che i suoi articoli erano cambiati: sempre ben scritti, sempre puntuali, rivelavano però una punta di acidità che non so­spettavo potesse fuoriuscire dalla sua penna aggraziata.
Perché dico questo? Sono persuaso che Francesco, forse inconsapevolmente, nutra un rancore per i personaggi ai qua­li dedica i suoi articoli. E che ciò gli abbia procurato qual­che antipatia, ampiamente ri­cambiata, come succede in ca­si simili. Anche lui, quanto la Oppo, si innamora delle paro­le e se ne lascia trascinare. So­no le parole a comandare sulle loro idee e non viceversa, alme­no in alcune circostanze. Nien­te di grave. Siamo tutti faziosi e tutti schiavi di pregiudizi. Il problema è che, seguendo più la convenienza che la logica, pieghiamo le nostre frasi al­l’esigenza intima di essere coe­renti con la linea del giornale piuttosto che con la nostra co­scienza della realtà.
Merlo, come tutti quelli che badano all’estetica scambian­dola talvolta per etica, ha attira­to su di sé molte antipatie. D’al­tronde non si può piacere a tut­ti. Ecco il motivo per cui lo han­no oltraggiato. Se ne faccia una ragione. Dissimuli la sua rab­bia. Sappia che spesso i fischi sono più meritati degli applau­si. L’unico modo per non udirli è infilarsi i tappi nelle orec­chie. In un momento di sban­damento sociale e politico, conviene meditare: siamo al­l’altezza delle nostre ambizio­ni? 

 

Published by
Gianluca Pace