
ROMA – Chiudere i piccoli ospedali? Francesco Saverio Mennini, docente di Economia sanitaria nell’Università di Roma Tor Vergata, intervistato dalla Stampa però avverte: “Anche i grandi devono cambiare”.
L’articolo di Roberto Giovannini sulla Stampa:
Sono 175 i piccoli ospedali a rischio chiusura. Un rischio, dicono gli addetti ai lavori, che in realtà è un’opportunità per gli italiani: non solo perché queste strutture che hanno meno di 120 posti letto hanno un costo spropositato, ed esistono soltanto per ragioni di campanile o di potere locale. Ma perché in queste strutture locali si viene curati male.
Secondo i dati della Fiaso, la federazione dei manager della sanità pubblica, in media, una giornata di degenza in un posto letto nel nostro paese costa ben 800 euro al giorno. «La questione – spiega il professor Francesco Saverio Mennini, docente di Economia sanitaria nell’Università di Roma Tor Vergata – è che l’indicatore del costo del posto letto non è quello corretto: bisogna considerare caso per caso il costo complessivo di ogni singola struttura ospedaliera, che comprende il costo degli infermieri, dei medici, dei clinici, del personale amministrativo». In alcuni casi, come l’ormai famigerato ospedale di Acquapendente, in provincia di Viterbo, si arriva a numeri semplicemente paradossali: nel 2010 questa struttura per far funzionare soltanto 8 posti letto aveva a disposizione la bellezza di 130 tra medici e infermieri. «Al di là dei singoli quanto clamorosi casi – continua Mennini – lasciare aperta una struttura come questa non è corretto dal punto di vista economico e finanziario, ma neanche etico ed equitativo dal punto di vista dell’assistenza sanitaria. Anche perché tutte queste persone possono essere usate fuori dall’ospedale per garantire assistenza e servizi ambulatoriali, strutture di assistenza infermieristica, strutture di assistenza a domicilio. Tutti servizi che non solo costerebbero infinitamente meno al Sistema sanitario nazionale, ma che garantirebbero un livello di assistenza molto migliore ai cittadini che abitano in questi centri».
Senza contare che ci sarebbe un risparmio enorme sui costi generali delle strutture ospedaliere, che per quanto siano di piccola dimensione moderne, sono molto elevati, perché un ospedale tenderà a disporre di macchinari sempre moderni e aggiornati che per definizione sono sottoutilizzati. E dunque non saranno mai adeguatamente ammortizzati nel costo.
Come spiegano gli esperti, al di là delle prescrizioni delle tabelle ministeriali che stabiliscono i rapporti «teorici» tra personale e posti letto, in questi piccoli centri in realtà non c’è una vera necessità di ospedali «generalisti», ma di presidi sanitari e di ambulatori; laddove il cittadino abbia bisogno di cure specifiche ospedaliere, sarebbe molto più sensato – e soprattutto «sicuro» dal punto di vista delle garanzie di una cura effettuata nel modo migliore – trasferirlo nei grandi centri ospedalieri, sia pure in elicottero. A parte le motivazioni di campanile – avere un ospedale mette un paese «sulla carta geografica» – molte sono le ragioni della tradizionale resistenza di istituzioni e popolazioni locali alla trasformazione degli ospedali in strutture di assistenza territoriale. Ci sono quelle meno nobili, come l’utilizzo dei miniospedali come ammortizzatore sociale e luoghi dove creare occupazione. Oppure il desiderio di favorire affari e commesse più o meno pulite. Ma di norma la paura è di perdere posti di lavoro. «Un timore infondato – spiega Mennini – tutto il personale potrebbe essere tranquillamente riconvertito nell’assistenza territoriale o spostato nelle strutture ospedaliere (e ce ne sono) che hanno bisogno di personale. L’occupazione resterebbe quella, dividendo un monolite che ha costi pazzeschi e spezzettandolo in servizi mirati, più utili e meno costosi».
Tutti discorsi che non necessariamente riguardano i piccoli ospedali. valgono Un esempio? «Nel Lazio ci sono almeno sei centri per i trapianti – ricorda il docente universitario – ma tutti insieme effettuano meno trapianti di quanti ne faccia il solo ospedale delle Molinette a Torino. Non sarebbe meglio, in quella Regione, creare un polo unico che si occupi solo per i trapianti, invece di tenerne aperti sei, moltiplicando i costi?».
