
ROMA – “Dopo la lunga stagione di ristrutturazioni con tagli draconiani ai costi e al personale – scrive Attilio Barbieri di Libero – le imprese tornano a interrogarsi su come rilanciare la loro capacità di fare businesse la loro efficienza puntando sulla risorse interne. Ora le persone a cui purtroppo i vertici aziendali hanno guardato per anni come un costo,tornano ad essere una risorsa fondamentale per rimettersi a crescere”.
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Come dimostra anche l’ottima ricerca condotta da Od&M in cima alle sfide che i direttori del personale e i responsabili delle risorse umane dichiarano di aver raccolto nel 2014 c’è la motivazione del personale.
E tornano in gioco una serie di valutazioni di cui ci si era dimenticati in questi anni terribili. Come mobilitare attorno all’obiettivo comune tutti i dipendenti, ma anche come sceglierli e come impiegarli al meglio. Ma c’è uno spazio reale per tornare a crescere partendo da qui? Lo chiediamo a Claudio Ceper, manager di lungo corso, grande esperto di risorse umane e presidente del Forum per la meritocrazia.
«Questa è la nostra ultima speranza. Se le persone sono valide e hanno forti valori possono diventare fondamentali per l’impresa. Ci sono numerosi studi che dimostrano come passione e valori siano i due ingredienti fondamentali per avere successo nel mondo di oggi. E possono contribuire in maniera determinante al successo dell’impresa in cui si lavora».
Questo a livello di manager, ma scendendo nella piramide gerarchica cosa succede?
«È la stessa cosa: si tratti di manager, quadri o impiegati, giovani o meno giovani non cambia nulla. Se le persone hanno le competenze, la voglia di lavorare e la passione per quel che fanno il successo è assicurato. Non a caso gli imprenditori sono spesso persone che riescono ad abbinare hobby e lavoro grazie alla passione».
Come si fa a farla scattare?
«Bisogna sapersi ascoltare e non inseguire subito i soldi che arrivano dopo, non puntare alla comodità, soprattutto per i giovani». In che senso? «Fra i giovani molti sono in gamba, ma nella generazione ipsilon (i nati fra gli anni ottanta e i primi anni duemila, ndr) ci sono persone molto ricche da un punto di vista umano e quanto ai valori, ma un po’ viziate. Con atteggiamenti restrittivi verso il lavoro. Accade di imbattersi in giovani non disposti a spostarsi e poco disponibili a rinunciare ai propri interessi e ai propri hobby. Mentre il segreto è coltivare una passione e assecondarla fino in fondo,senza alcun compromesso». Questo vale per le persone. Ma le aziende? Secondo lei si muovono correttamente se l’obiettivo è valorizzare le passioni delle persone che vi lavorano? «Ci sono imprese, italiane e non,capaci di lavorare bene sotto questo profilo e altre che sbagliano tutto. Le multinazionali sono avvantaggiate perché il loro management ha spesso alle spalle scuole manageriali di derivazione anglosassone. L’industria italiana è partita dopo, ma da noi ci sono dei casi che dimostrano come si possa motivare il personale e ottenere risultati straordinari».
Ci fa qualche esempio? «Luxottica, Prada, la Ferrari…». Cos’hanno in comune? «Sono imprese eccezionali. E se l’azienda funziona bene funziona altrettanto egregiamente il processo di ricerca e gestione del personale». Queste però sono le eccellenze del made in Italy. E nel resto del tessuto imprenditoriale? «In molte imprese, soprattutto quelle familiari, si privilegia la parentela, la famiglia. Un giovane, figlio di imprenditori, prima di entrare nell’azienda dei genitori dovrebbe fare un’esperienza di almeno 5 anni altrove, meglio se all’estero, dimostrando quel che sa fare e poi tornare nell’attività di famiglia. Sempre che vi sia bisogno delle sue competenze. Non basta essere il figlio del padrone per trasformarsi in un buon capo. Il tasso di mortalità tra la prima e la seconda generazione nelle imprese familiari si spiega proprio con la tendenza a dare la preferenza al sangue».
E nella pubblica amministrazione cosa servirebbe? «Molta peritocrazia e un collegamento stretto fra carriera, retribuzioni e risultati che oggi non esiste». E tutta quella sventagliata di numeri e indici sull’efficienza di cui tanto si parla? «Quando il 99 percento dei dirigenti della pubblica amministrazione prende il massimo del bonus, significa che i dati sull’efficienza e sulle prestazioni sono fasulli»
