ROMA – “Così il welfare Pd smantella la Legge Biagi”. Questo il titolo del commento sul Giornale a firma di Francesco Forte:
C’è qualcosa di nuovo, anzi di antico, nel Jobs act di Matteo Renzi, compreso l’abito della citazione in inglese, che risale ad Alberto Sordi. La tesi per cui bisogna sostituire un solo contratto di lavoro alle 40 e più forme contrattuali attuali o almeno ridurne il numero implica che Renzi vuole smantellare la Legge Biagi e tornare al sistema prima del 1997, cancellando o restringendo ancora il lavoro a progetto, le partite Iva, i contratti a tempo determinato, il lavoro a chiamata. Il contratto unico nazionale, che Renzi considera una novità, fu adottato dall’Olanda nel 1982 ed è stato successivamente abbandonato. In Germania la riforma del lavoro che dà all’industria tedesca una straordinaria competitività consiste nel suo superamento con la adozione di contratti aziendali basati sul salario di produttività. Gli impianti vengono utilizzati anche nei giorni festivi e nelle ore notturne e gli orari si adattano agli ordinativi. Ciò consente il massimo utilizzo dei costi fissi degli investimenti, più rapidi ammortamenti e la aderenza dell’offerta alle variazioni della domanda. D’altra parte il salario, in Germania, può esser stabilito bilateralmente fra singolo lavoratore e impresa, salvo per un minimo molto basso, sotto cui non si può andare. Accanto al contratto a tempo indeterminato ci sono varie altre tipologie e sono ammessi anche i contratto individuali.
Sicché il numero di contratti di lavoro in Germania è certamente superiore a 40. Non dico che si debba copiare in tutto la Germania, ma se si vuole innovare anziché fingere di farlo occorre imitare ciò che si è fatto a Stoccarda e a Wolfsburg e che Marchionne ha stipulato a Detroit. Non è vero che il commissario europeo László Andor ha approvato il progetto di Renzi.
Ha detto che non è accettabile la attuale segmentazione del mercato del lavoro italiano in due parti, una rigida e una flessibile. Se vogliamo fare passi avanti bisogna ridurre la parte rigida, non togliere di mezzo la parte flessibile. Si tratta, perciò, di stabilire che l’articolo 18 che obbliga alla riassunzione chi è licenziato senza giusta causa o fondato motivo non s’estende ai licenziamenti disciplinari ma vale solo per quelli discriminatori. Però Matteo Renzi, che a chiacchiere è un innovatore ma in concreto appartiene al vecchio sistema del Gattopardo, dice che la discussione sull’articolo 18 non è una priorità (…)