MADRID – El Paìs, il più autorevole quotidiano di centrosinistra in Spagna, licenzia un terzo dei suoi giornalisti perché il gruppo editoriale che lo controlla, Prisa, ha 3 miliardi e mezzo di debiti. Il gruppo Prisa si è sbarazzato di un terzo dei suoi redattori approfittando di una legge che è stata criticata proprio dal giornale, la riforma dei licenziamenti varata dal governo di centrodestra guidato da Mariano Rajoy. Alessandro Oppes racconta questa storia su Il Fatto Quotidiano:
Storia di un declino annunciato, tramonto di un’istituzione culturale che era considerata la più solida della Spagna democratica. Strangolato dai debiti del suo editore (il Grupo Prisa accumula perdite per 3 miliardi e mezzo di euro), il quotidiano El País si sbarazza in un sol colpo di un terzo dei suoi giornalisti.
Sono 128 i licenziati, a condizioni estremamente favorevoli per l’azienda (proprio quelle fissate dalla riforma del governo Rajoy, tanto criticata dal giornale): liquidazione di appena 20 giorni per anno lavorato, e un massimo di 12 mensilità. A questo si aggiungono i 21 pre-pensionamenti, di chi ha compiuto 59 anni. E per chi resta, una riduzione salariale del 15%.
“Non possiamo continuare a vivere così bene”, aveva detto nei giorni scorsi il presidente del gruppo editoriale, Juan Luís Cebrián, annunciando tagli, “dolorosi ma inevitabili”, ieri diventati realtà. Parole che hanno fatto infuriare i redattori del giornale, testata tra le più prestigiose d’Europa e, in assoluto, la più importante al mondo tra quelle in lingua spagnola.
Nel corso di una drammatica assemblea, che ha portato alla convocazione di 18 giornate di sciopero – e, a partire da oggi, del ritiro delle firme dal quotidiano – i giornalisti hanno rinfacciato a Cebrián (che fu il fondatore e primo direttore di El País) la “mancanza di lealtà e la sua gestione nefasta”. Ma non solo, gli hanno anche chiesto di restituire “buona parte dei milioni di euro che ha incassato negli ultimi anni”.
Stizzito, il manager ha replicato che risponde solo agli azionisti, e non certo ai redattori. I quali, però, non ci stanno, e spiegano in un documento i motivi per cui il piano di tagli sarebbe del tutto ingiustificabile. Al di là dei conti complessivi del gruppo, la gestione di El País è stata in attivo per 35 anni, e solo per quest’ultimo esercizio si prevedono perdite per 2 milioni di euro. Troppo poco per giustificare un provvedimento così pesante di ridimensionamento dell’organico.
Anche perché, e questo è uno dei fattori considerati più offensivi, impossibili da digerire, Cebrián ha guadagnato nel 2011 quasi 14 milioni di euro. La realtà è che, già da anni, la famiglia Polanco (che lo aveva creato) ha perso il controllo del gruppo, finito nelle mani di banche – Santander, Caixabank, Hsbc – e fondi speculativi statunitensi. Una serie a catena di investimenti sbagliati e rischiosissimi ha gonfiato l’indebitamento fino ai 5 miliardi di euro, ridotto solo in minima parte da un frenetico piano di dismissioni.
La scure, a questo punto, si abbatte su tutte le testate del gruppo. Non perché una riduzione dei costi possa risanare i bilanci, ma perché con organici “più snelli” sarebbe più facile mettere in vendita i gioielli dell’impero editoriale. La prossima testa a cadere, prevedono alcuni siti web confidenziali, potrebbe essere quella del direttore di El País, Javier Moreno. Che verrebbe sostituito da qualcuno più sensibile alle esigenze delle banche.