Voti senza peso per Monti “faccia feroce” sul baratro delle Regioni

Stasera, alle 20,45, Inter-Milan che decide lo scudetto, dopo la prima giornata di amministrative che non cambierà molto e i cui risultati si sapranno domani, mentre il Governo continua i suoi espedienti mentre sulle cose concrete non c’è, i giornali gli fanno da megafono, tutti parlano, gli scandali ci circondano, tra le macerie del post berlusconismo.

Il risultato sono le elezioni di oggi, che alcuni giornali accolgono con distrazione. Di quelli oggetto di questa rassegna, Repubblica e Corriere della Sera, cioè i due quotidiani più diffusi in Italia, titolano su altro e con loro la Stampa di Torino, il Mattino di Napoli, Libero e il Giornale. Solo Valentino Parlato sul Manifesto sembra crederci con l’editoriale “Domenica di svolta”.

Degli altri, il Messaggero scrive che i partiti sono “alla prova delle città”. Si tratta,  come titola il Fatto Quotidiano, di “un voto con la pistola alla tempia”. Il senso va oltre il macabro riferimento al quotidiano stillicidio di suicidi: la pistola alla tempia è quella dei mercati, che renderà vana qualsiasi indicazione delle elezioni amministrative, come lucidamente scrive Stefano Folli sul Sole 24 Ore, perché intanto a Monti non ci sono alternative, anzi, a credere al Secolo XIX di Genova, è anche agguerrito: “L’ira Monti, basta mediare, adesso tiro dritto. Dopo il voto, resa dei conti”; ed è anche quella del disfacimento dei partiti, in primo luogo del Pd, che sarà travolto dai candidati civici più o meno di estrema sinistra.

Ha ragione Umberto La Rocca, direttore del Secolo XIX: “Il voto di Genova e il passo indietro dei partiti”. Giampaolo Pansa, su Libero, prevede che “Bersani vincerà” e che “potrebbe chiedere il voto anticipato”. Conclusione: “Peccato sia imcapace di governare”. Sbagliato: non lo vuole, e non senza ragione. Ma è una ragione elettorale, non di interesse degli italiani.

Per questo appare un po’ senza effetto possibile il titolo di apertura di Libero: “Appello al Pdl. Fate presto, cacciate Monti”, anche se i concetti sono condivisibili da molti: “La tassa sulla casa è un iniquo salasso. Ma è tutta la strategia del premier e dei suoi professori che non funziona”. Gianluigi Paragone, ex pupillo di Umberto Bossi, è da leggere: “Voglia di rivoluzione, cresce la rabbia ma lor signori non capiscono. Ci hanno illuso e tradito”. L’articolo segue a pag. 7, incorniciato da questi titoli: “Gli arriva la cartella: si spara” e “Soltanto nel 2012 si sono uccisi in 36”.

L’eco è sul Giornale: “Elezioni avvelenate. Le tasse uccidono ancora” è il titolo a tutte colonne in prima pagina.

Ma se non vi piace l’estremismo di Libero, dovete credere all’aplomb del Sole 24 Ore, il cui titolo di apertura della prima pagina è:  “Debiti Pa, nuovo rinvio. Slitta il decreto dell’Economia per la garanzia della certificazione su crediti vantati dalle aziende: è necessario per firmare l’intesa Abi-imprese che dovrebbe consentire l’utilizzo di una prima tranche di risorse”. Come al solito, hanno fatto l’annuncio, il 19 aprile, ma, avverte Carmine Fotina, ci vorrà del tempo e anche parecchio perché tutto vada a posto, fra decreti e competenze e mancanza anche di denaro.

Lo stesso Sole 24 Ore pubblica in prima pagina un articolo del vescovo di Chieti-Vasto, Bruno Forte, che merita più di una meditazione, perché è un segnale abbastanza forte: “Pagare le tasse è un dovere etico, purché siano eque”.

Da studiare è peraltro il fatto che, il mattino i cui 9 milioni e mezzo di italiani va a votare, Repubblica e Corriere aprano con altro, anche se forse la scelta deriva dalla insularità territoriale che li affianca infatti al Mattino di Napoli, che preferisce per l’apertura l’artigiano napoletano suicida per le tasse e alla Stampa di Torino, che preferisce il pullman con i 5 ex carabinieri morti a Padova e la “sfida a Pd e Pdl” di Pierferdinando Casini.

Repubblica rivolge la sua attenzione agli oltre 700 milioni di euro di consulenze delle regioni. Stiamo parlando di milioni, contro i miliardi di scialo delle regioni a statuto speciale, dal Friuli Venezia Giulia alla Val d’Aosta alla Sicilia: avevano un senso ai tempi del secessionismo strisciante del dopoguerra, ma ora se la Sicilia vuole farsi annettere dalla Libia o dalla Tunisia, o il Friuli Venezia Giulia dalla Croazia, per gli altri italiani significa solo tasse in meno e tante.

E poi ci sono gli sprechi della sanità, la cui spesa, da quando è in mano alle regioni, è esplosa in una galassia di acquisti incontrollati e in cui gli unici tagli di cui ora i politici e i funzionari sono capaci consistono nei tagli dei letti d’ospedale.p

Il Corriere della Sera lancia l’allarme per la “spesa fuori controllo” delle “Regioni, un buco nero”, con debiti verso le imprese fra i 30 e i 70 miliardi (già l’ampiezza della oscillazione dà un’idea del caos che c’è).

Ci restano solo i giornali sportivi. La Gazzetta dello Sport è tutta sul derby Intern-Milan: lo scudetto è in mano all’Inter, il cui destino, vinca o perda, è di favorire una delle due squadre più detestate. La palla è rotonda…come la vita.

Ci restano ancora alcune amare riflessioni. Abbiamo vissuto vent’anni di guerra civile per fortuna solo di carta, che ha sfibrato i partiti e i giornali e gli italiani tutti e ha portato la sinistra a rinnegare uno dei (non solo suoi) principi della democrazia, che i governi tecnici non sono cosa buona. Quelli che per anni, più (alcuni giornali) o meno (il Pd e precedenti)  intensamente avevano fatto guerra a Berlusconi, non hanno avuto la forza, la capacità, il coraggio di darci una guida sicura dopo vent’anni di microcalcolo elettorale finalizzato solo a tener fuori Berlusconi dal carcere e le sue tv dall’oscuramento (ma cos’è un Paese dove la Corte costituzionale non si accorge che i suoi ordini sono disattesi, come quello sul digitale terrestre che ancora non è esteso a tutta l’Italia?). Hanno preferito il ripiego di un Governo pseudo tecnico, fatto di alcuni professori e funzionari d’alto rango, scelti con misteriosi bilancini sui cui piatti peraltro Berlusconi ha potuto deporre parecchi pesi,  in segretissime stanze, senza alcun riscontro oggettivo, né di qualità né di legittimazione politica, che poi è l’unica cosa che conta in una democrazia.

Anche il Pd, che avrebbe potuto salire al posto di guida, ha fatto il suo calcolo elettorale, memore del fatto che dopo il Governo d’emergenza del 1993 Amato-Ciampi arrivò Berlusconi e stravinse. Ma Bersani, con questo calcolo, ha dimostrato di essere un politico a dimensione locale (fu un ottimo presidente dell’Emilia Romagna) ma di non avere un respiro nazionale che vada oltre l’astuzia dei contadini piacentini: non ne ha la prudenza, come ha dimostrato dichiarando a suo tempo guerra per ben due volte agli ordini e ai taxi, restando per ben due volte sconfitto. Monti, che saprà di economia ma non conosce la storia, ci si è andato a scornare anche lui e questo basterebbe a definirne la inadeguatezza.

 

Published by
Marco Benedetto