L’intervista su Italia Oggi a cura di Goffredo Pistelli:
Finzi, che cosa vede dal suo osservatorio? Che dice il monitor che con Astra lei realizza ogni mese?
Misuriamo la fiducia degli Italiani, come la gente cioè dice di stare e quali speranze dice di coltivare. Lo facciamo all’inizio di ogni mese, confrontando il risultato col dato del precedente. Dalla fine dell’anno scorso, abbiamo cominciato a notare, malgrado non cambiasse significativamente il quadro economico generale, malgrado fossimo piombati in una crisi psicologia e in una prolungata depressione, che la gente aveva cominciato a sperare di sperare. E guardi che la depressione era davvero forte.
Cupa?
Più che la cupezza, a colpire era il perdurare di questo sentimento. Perché dagli anni ’50, da quando cioè la Doxa aveva cominciato a misurare questi fenomeni, la caduta della fiducia, anzi la morte della speranza, non era mai stata così profonda, davvero un tracollo, e così prolungata.
Cioè, in genere, ci passava prima?
Siamo un popolo ciclotimico per carattere nazionale e quindi esposto a grandi sbalzi. Excited, dicono gli Americani. Quando un allenatore perde tre partite di fila è da cacciare, se il nuovo, il sostituto, ne vince due, è un trionfo e sui giornali sportivi mentre nei bar non si parla d’altro. In questo molto mediterranei e perfettamente in linea al carattere degli spagnoli e dei greci. Ma appunto le depressioni erano peridi breve durata, non resistevamo troppo a lungo, eravamo un po’ come «Ercolino sempre in piedi» della Galbani, ma forse lei è troppo giovane per ricordarlo
No, no, avendo 50 anni suonati, me lo ricordo
Ecco. Gli italiani erano un po’ quel pupazzo gonfiabile, che buttavano a mare in Versilia e sulle altre coste italiane a scopo promozionale: avendo un piccolo peso alla base, andava giù ma poi tornava su. Quindi i seni, cioè le curve grafiche con cui rappresentiamo il nostro sentiment, come diciamo noi, erano alte e profonde ma anche strette e corte, cioè non duravano.
Invece quella attuale?
È profonda ma amplissima. Pensi che nel 2009, a crisi economica ampiamente in corso, pensavamo ancora che le vacche grasse sarebbero tornate. È nel 2010 che c’è il crollo, che dura fino a tre mesi fa, quando diventa meno assoluto, meno maggioritario. Il tono complessivo cioè non è stravolto ma ci sono alcuni che cominciano, appunto, a sperare di sperare. Cioè quella maggioranza di cupi pesa meno.
E che cos’è successo?
Innanzitutto è cambiata la grancassa dei media, soprattutto della tv. E’ girata l’aria. E non tanto per quello 0.1% di aumento del pil che, se anche non fosse un errore di rilevamento, davvero non influirebbe in termini economici ma pesa, positivamente, in termini psicologici. E ci sono anche altri fattori.
Vediamoli
Gli italiani hanno capito che la crisi, ancorché molto grave, è anche selettiva: ci sono imprese e settori che si basano sull’export e che mostrano di resistere bene; ci sono comparti in cui la tendenza si è invertita. C’è il fatto che a Roma e a Milano, il mercato degli affitti e delle compravendite, è seppur timidamente ripartito. E tutti noi sappiamo quale valore psicologico sia annesso alla casa dalla maggior parte delle persone che, pur non sapendo niente di Borsa, capiscono benissimo cosa significhi vedere case sfitte o invendute (…)