ROMA – È l’appalto più pazzo di Expo: il primo assegnato, l’ultimo a essere finito. E a costi raddoppiati. Sotto gli sguardi severi e preoccupati della Procura di Milano, dell’Autorità anticorruzione e dell’Avvocatura dello Stato. Si chiama “rimozione delle interferenze” e riguarda il lavoro preliminare, la “pulizia” dell’area, per poi poterci costruire sopra l’Expo con tutte le sue strutture e i suoi padiglioni.
Come scrivono Gianni Barbacetto e Marco Maroni su Repubblica,
È come pulire per bene la tavola, per poi stenderci sopra una bella tovaglia e infine apparecchiare con piatti, posate e bicchieri. Come fai ad apparecchiare se non hai ancora finito di pulire sotto la tovaglia? Eppure è quello che sta succedendo, nella storia più incredibile di Expo. Una vicenda esemplare, che permette di capire com’è andata la preparazione dell’esposizione universale e merita di essere raccontata. L’appalto zero dell’esposizione universale viene bandito il 3 agosto 2011. Tre anni, quattro mesi e tre giorni dalla vittoria di Milano contro Smirne: tempo tutto impiegato dalla politica a litigare su chi doveva avere il controllo dell’evento. Finalmente, il 20 ottobre 2011 l’appalto viene assegnato alla Cmc, la Cooperativa muratori & cementisti di Ravenna che vince la gara al massimo ribasso. La base d’asta era di 96,8 milioni di euro, ma la coop romagnola trionfa offrendo soltanto 58,5 milioni, con un ribasso da brivido del 42,83 per cento. “Con margini così tirati”, si chiede subito il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, “come fa un’impresa a rientrare anche solo dei costi?”.
La Cmc s’impegna a terminare i lavori in 725 giorni, entro il 5 novembre 2013. Invece i lavori sono ancora in corso. E l’azienda voleva finirli soltanto il 28 settembre 2015: quasi due anni dopo il termine previsto e a Expo quasi finito, visto che i cancelli della manifestazione si chiuderanno il 31 ottobre.
Scende subito in campo la Procura di Milano, che nel maggio 2012 sequestra i documenti sulla gara, ipotizzando che possa esserci stata una turbativa d’asta. Di certo, i costi sono lievitati, fino a mangiarsi del tutto il ribasso con cui la gara è stata vinta. Da 58,5 milioni sono arrivati a 127 5 con 28 “proroghe per forza maggiore”, 302 “proroghe per varianti riconosciute” e tre passaggi cruciali, come le cadute di Cristo sul Golgota. Eccoli (…)
Ma non è finita qui. A luglio 2014, terza svolta: iniziano i procedimenti per formalizzare una “Perizia di variante n.3”, corredata dall’“Atto aggiuntivo n.2”. Sembra complicato, ma in fondo è semplice: sono nuovi soldi chiesti da Cmc. Altri 31 milioni di euro, che fanno lievitare la cifra totale a ben 127,5 milioni: più del doppio di quanto offerto per vincere la gara. Con una chicca: la “Perizia prevede anche il riconoscimento di un premio di accelerazione”. Avete letto bene: “premio di accelerazione”. In effetti se lo sono meritato, visto che i lavori, che dovevano essere finiti nel 2013, ora avrebbero come nuovo termine quello del 26 giugno 2015: un po’ troppo in là, visto che Expo apre i cancelli il 1 maggio. Ecco allora che Cmc s’impegna, bontà sua, a finire 86 giorni prima, il 31 marzo 2015, e per questo si guadagna il “premio di accelerazione”.
Nel frattempo è entrato in partita Raffaele Cantone, il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac): a lui vengono mandati, per controllo, tutti gli atti di Expo. Gli arrivano così, nell’estate 2014, anche la “Variante n.3” e l’“Atto aggiuntivo n.2”. Cantone annusa che qualcosa non va: non sono soltanto piccole variazioni all’appalto, ma contengono “elementi di natura transattiva”. Chiede dunque che intervenga l’Avvocatura dello Stato, in quel momento retta da Giuseppe Fiengo, il quale affida il caso all’avvocato dello Stato Pierluigi Di Palma. Il suo parere arriva il 7 gennaio 2015. È una solenne bocciatura: ritiene di “non potersi esprimere parere positivo in ordine all’ipotesi di variante e di secondo atto aggiuntivo” (probabilmente anche il primo atto aggiuntivo sarebbe stato bocciato, ma Cantone non era ancora arrivato all’Anac e nessuno aveva chiesto il parere dell’Avvocatura dello Stato).
Come sbloccare la situazione? Il 13 gennaio 2015 il consiglio d’amministrazione di Expo chiede all’amministratore delegato Giuseppe Sala di avviare, come segnalato da Anac e Avvocatura dello Stato, un vero e proprio atto transattivo. E qui Sala spicca il volo: decide “di avvalersi espressamente della facoltà di deroga”, a “superamento delle osservazioni rese dall’Avvocatura generale dello Stato”. Avanti tutta. I termini restano più o meno quelli dell’Atto aggiuntivo n.2 e della Variante n.3, ma scritti in un documento che ora si chiama “Atto transattivo”, per non far arrabbiare troppo Cantone (…)