ROMA – “Dei tre attacchi del 26 giugno, mi allarma di più quello in Kuwait, nella moschea sciita. Conferma che la strategia dell’Isis è soprattutto anti shia, prima ancora che antioccidentale. Lo Stato islamico è coinvolto in una guerra settaria nel Medio Oriente e punta a destabilizzare il Golfo, fin qui relativamente stabile. Ricordiamo che il Bahrain ha una maggioranza sciita, in Arabia Saudita c’è il 15% di sciiti che però vivono tutti nell’Est, dove sono i maggiori giacimenti petroliferi. Questo è il vero potenziale esplosivo dentro il Medio Oriente. Se s’incendia il Golfo, fonte del petrolio e dei capitali che hanno movimentato il sistema finanziario occidentale, avremo tutti un problema”.
Fareed Zakaria, nato a Mumbai, in India, educato ad Harvard, da 30 anni residente negli Usa, è uno dei più brillanti studiosi del mondo globalizzato. Opinionista della Cnn, ha diretto Foreign Affairs ed è stato uno dei consiglieri non ufficiali di Obama nella campagna 2008.
Ecco l’intervista a cura di Paolo Valentino per il Corriere della Sera.
Assistiamo a un’offensiva globale dell’Isis e dobbiamo aspettarci altri attacchi?
«Verosimilmente si è trattato di una coincidenza. Non credo ci fosse alcuna pianificazione centrale. Attentati di questi tipo si erano già verificati negli ultimi due anni e restano di piccole dimensioni. Ci dicono in primo luogo che la possibilità di organizzare e mettere in atto qualcosa di veramente drammatico, non dico sul modello dell’11 settembre, ma perfino su quelli di Madrid e Londra, è molto minore di 10 anni fa. I Paesi occidentali sono meglio preparati a intercettare e bloccare attività sospette di persone o movimenti sospetti di denaro. Tuttavia ci ricordano come sia relativamente facile portare a segno atti terroristici contro obiettivi soft. Ma non siamo di fronte a un’escalation drammatica».
Nondimeno non pochi giovani in Occidente sono attratti dalla propaganda dello Stato islamico.
«Il genio dell’Isis è di aver capito che bastano piccoli gruppi di fanatici per raccogliere un messaggio. Ma per trovarli devi mandarlo alla platea più ampia possibile. La grande innovazione rispetto ad al Qaeda è che questa si rivolgeva ai fedelissimi. Pensiamo ai video di 5-10 anni fa: lunghi, noiosi, densi di teologia islamica. Roba per iniziati. Questi producono video brevi, brutali come film horror, in perfetto inglese. Diventano virali. Risultato: l’audience è passata da 1 a 15-20 milioni di persone. E anche se convinci lo 0,01% siamo di fronte a numeri rilevanti. Isis ha capito il potenziale della Rete e lo usa alla perfezione. Detto questo, credo che la dimensione del fenomeno, potenzialmente grave, sia ancora contenuta e non dobbiamo temere un’imminente ondata jihadista anche in Occidente».
Si sconfigge l’Isis senza azione militari sul terreno?
«Penso che ogni esercito serio, non solo quello Usa, possa sconfiggere l’Isis. Il problema viene dopo: una volta sconfitto il Califfato controlli una grossa fetta di territorio in Siria. Che ne fai? Occupiamo una parte della Siria per i prossimi 10 anni? Abbiamo già dato in Afghanistan e Iraq, sappiamo come funziona. Andiamo via? Il governo di Assad occuperà quel posto. E forse prima o poi l’Isis lo rioccuperà. E’ quello che vogliamo? Il punto non è la vittoria militare, ma la creazione di un ordine politico stabile nello spazio oggi controllato dallo Stato Islamico. E’ una conseguenza dello spappolamento politico dell’Iraq e della Siria, ma non è un problema che la forza militare possa risolvere».
Sta dicendo che l’unica risposta può venire dall’interno del mondo islamico?
«Precisamente. In fin dei conti, il potenziale dell’Isis è limitato, circondato com’è da nemici: Iran, Giordania, Turchia, Arabia Saudita. Sfrutta il vuoto politico e lo scontento sunnita in Iraq e Siria, cerca di fagocitare quello nel Golfo. Potranno tenere in vita questo simulacro di Califfato, ma non saranno in grado di espanderlo significativamente» (…)