ROMA – “A noi uomini piace mangiare, scopare, giocare e farci poche pippe mentali”. Così parlava nel 2011 Fausto Brizzi, il regista italiano finito al centro dello scandalo perché accusato di molestie da alcune attrici. Dagospia rispolvera un’intervista rilasciata dal cineasta romano ad Antonio D’Orrico per il settimanale del Corriere della Sera, Sette.
Brizzi, che all’epoca aveva appena finito di girare Femmine contro maschi, sequel e antitesi del precedente successo Maschi contro femmine, si lascia andare a numerose battute sul tema. Parla di attori maschi e attori femmine, di amicizie e corteggiamenti sul set e di donne geisha.
Questo succede perché le donne non giocano?
«Gli uomini giocano da ragazzini e non giocano a diventare grandi, giocano per sognare di restare piccoli. Perciò continuano a giocare tutta la vita. Le donne, da bambine, giocano a diventare grandi, fanno simulazioni di vita familiare. Abbiamo fatto a Pulsatilla una provocazione. Quando arrivava un maschio sul set lo sottoponevamo a un test. La domanda era: “Ma se tu dovessi naufragare su un’isola deserta, preferiresti naufragare con Cameron Diaz o con il tuo migliore amico?”. Il maschio di getto risponde: “Cameron Diaz”. Poi ci ripensa e si corregge: “No, se ci devo rimanere tutta la vita, con il mio migliore amico. Così almeno poi giochiamo”. Diciamo tutta la verità, uno a un certo punto si rompe le palle anche di scoparsi Cameron Diaz. E non è una questione di omosessualità. È una cosa più complessa».
Vuoi rivalutare l’antico e nobile concetto di amicizia virile celebrato nei western di John Ford?
«Nel film che precede questo, “Maschi contro femmine”, c’è un gruppo di amici che fanno sedute di autocoscienza giocando a Trivial o a Risiko. Stanno intorno a un tavolo con i loro problemi e nel frattempo si attaccano con i carrarmati. Questo è molto maschio. A Bisio, in “Femmine contro maschi”, faccio dire una profonda verità: “Le donne non capiscono gli uomini perché non c’è niente da capire”. È così, non c’è trucco, noi siamo come siamo. Ci piace mangiare, scopare, giocare e farci poche pippe mentali».
Un programma di vita non condiviso dalle donne, mi sentirei di dire.
«Combattuto, avversato. La donna, che è più complessa del maschio, non si rassegna. Ogni donna pensa di aver sposato un uomo diverso dagli altri semplicemente perché costui, pur di scoparsela, gliel’ha fatto credere. Abbiamo le nostre responsabilità».
Lo so che è un colpo basso, ma tutto ciò che abbiamo finora detto si può riassumere in cinque parole che suonano come una sentenza di condanna: la sindrome di Peter Pan.
«No, basta con la sindrome di Peter Pan, lo dico io e lo faccio dire a Ficarra in una scena del film. Fermate quella metafora, non se ne può più. Mi stava simpatico Peter Pan, ma ora non posso più vederlo».
È diverso dirigere le attrici e gli attori? Nel gioco della recitazione quali differenze ci sono tra maschi e femmine?
«L’attore maschio e l’attore femmina sono due animali completamente diversi. Entrambi vanno molto coccolati ma le femmine molto di più. Vanno continuamente rassicurate. Neri Parenti, il mio maestro, mi ha sempre detto che il regista deve fare lo psicologo degli attori, solo dopo deve interessarsi alle inquadrature. Per quanto riguarda gli attori comici c’è un’ulteriore complicazione.
Degli attori comici devi diventare amico, non solo perché sono persone meravigliose, ma perché è utile. Un attore comico deve sentirsi a casa, perché più si sente in un ambiente familiare meglio rende. In film di altri generi il regista deve creare apposta ansia sul set per ottenere risultati migliori. Nei film comici no. Perciò ho lavorato per avere un clima da gita scolastica. A fine riprese andavamo a giocare a tennis con Bisio, De Luigi e Preziosi, sfide di doppio infinite».
Allora il rapporto con gli attori è un rapporto di amicizia. Con un’attrice, invece, è più un rapporto di corteggiamento. È così?
«È così. Nei riguardi delle attrici, dico quello che hanno detto tutti i registi: quando scegli un’attrice, per qualsiasi ruolo tu la scelga, è perché un pochino te ne sei innamorato. E pensi che lo spettatore se ne innamorerà anche lui e lavori perché questo avvenga, soprattutto se stai girando una commedia romantica».
Sto pensando a coppie celebri in questo senso: Hitchcock e Grace Kelly, Vittorio De Sica e Sofia Loren. Ma penso anche a un film recentissimo, “Hereafter”, nel quale è evidente, quasi lancinante la sensazione che il vecchio Clint Eastwood si sia perdutamente innamorato della protagonista Cécile de France. Lo si vede da come la inquadra, da come la cinepresa indugia sul corpo di lei. «In maniera metaforica, la testa la perdi sempre per i tuoi attori e si vede nel film. Quando vedo i film degli altri capisco quali sono gli attori che stavano sullo stomaco al regista e quali invece ha amato».
Fammi un esempio.
«“The Tourist” dove è chiarissimo che il regista Florian Henckel von Donnersmarck era innamorato di Angelina Jolie perché le ha permesso di vestirsi come a una sfilata di moda in tutte le inquadrature, le ha fatto delle concessioni da fidanzato sperante. Lei si voleva truccare e vestire come a una sfilata di moda anche appena alzata dal letto? E lui glielo lascia fare. Il look della Jolie in alcune scene non c’entrava con il personaggio, ma l’amore è stato più forte dell’arte».
Consentiamoci un po’ di sana misoginia (visto l’argomento del tuo film direi che si tratta di legittima difesa). Ti confesso che sono molto perplesso rispetto alle capacità comiche delle donne. A me le attrici comiche non fanno ridere.
«Questo vale anche per le mie attrici, per Luciana Littizzetto, per Paola Cortellesi?».
Artisticamente parlando odio la Littizzetto.
«Allora sei messo proprio male. Guarda che è brava e in “Femmine contro maschi” è molto in parte, molto cinica. In generale, però capisco cosa vuoi dire perché le donne comiche sono merce rara. Avercene. In Italia abbiamo avuto Monica Vitti…».
La Vitti la trovo intellettualistica.
«E Bice Valori? Franca Valeri?».
Loro sì che sono grandi comiche (la Valeri di più, naturalmente). Senti, cambiando argomento, da specialista della mentalità femminile cosa mi dici delle donne pubbliche dell’Italia 2010?
«Ti dico solo che molte donne pubbliche contemporanee mi inquietano. E, in generale, confesso che sento la mancanza della donna geisha».
È inquietante anche la citazione che apre il tuo film.
«In “Maschi contro femmine” c’era una citazione di Massimo Troisi: “Gli uomini e le donne sono le persone meno adatte a sposarsi tra di loro”. Ed era la citazione di un poeta. In “Femmine contro maschi” mi sono ispirato a Darwin ed è la citazione di uno scienziato: “Le femmine scelgono il maschio che le disgusta di meno, non quello che le attrae di più”. Come frase è micidiale ma l’ha detta Darwin e non possiamo far finta che non sia così».
Quindi il vero potere (al di là di quello ritenuto tale dai maschi) è femminile?
«Assolutamente. Ti faccio un esempio di bottega. Quando noi scriviamo le sceneggiature sappiamo che è la fidanzata a scegliere i film e dobbiamo tenerlo sempre presente. Per questo gli horror incassano meno delle commedie, perché gli horror piacciono ai maschi e quasi mai alle donne. Come dice Woody Allen: “A casa mia comando io, ma è mia moglie che prende le decisioni”».