ROMA – In un lungo lunedì che ha conosciuto momenti di ordinaria follia il logo dei Forconi è riuscito a imporsi lungo tutta la penisola come un franchising del disagio e della collera.
Alle varie manifestazioni che si sono tenute in tante città italiane con le forme più varie (blocchi stradali e ferroviari più o meno temporanei, cortei, volantinaggi, presidi) hanno partecipato padroncini dei Tir, ambulanti, cassaintegrati, studenti e disoccupati. È capitato persino che a Brindisi la protesta abbia incontrato il favore attivo dei commercianti mentre a Torino sono stati proprio i negozianti a chiudere le saracinesche per paura dei tafferugli scatenati dai manifestanti.
Scrive Dario Di Vico sul Corriere della Sera:
del resto l’obiettivo dei Forconi, movimento nato in Sicilia, era proprio questo: dare voce ai soggetti sociali più disparati vittime della recessione e privi di una rappresentanza stabile. A Bologna la protesta si è indirizzata direttamente contro Equitalia, ad Ancona contro la sede Rai e in Sicilia ha partecipato ai cortei anche l’Associazione pro stamina. A Perugia si è sfilato contro l’austerità e a Genova si sono sentiti slogan contro le privatizzazioni. Il motivo scatenante della protesta — la legge di Stabilità che colpirebbe i piccoli autotrasportatori — è passato decisamente in secondo piano in una giornata in cui Marcello Longo, leader di Trasportounito, ha emesso una raffica di comunicati un po’ su tutto: ha denunciato che i suoi erano stati manganellati, ha messo in guardia minacciosamente il premier Enrico Letta, ha chiesto le dimissioni del ministro Maurizio Lupi e, infine, ha incitato i manifestanti a proseguire nella lotta.
Dal punto di vista sindacale alcune tra le maggiori organizzazioni di categoria dei camionisti — quelle che fanno capo a Confartigianato e Cna — sostengono che i Forconi hanno solo bucato l’acqua, la stragrande maggioranza dei Tir in Italia ha girato, non ci sono stati blocchi alle forniture industriali e ai rifornimenti commerciali. Insomma, a sentir loro, non si può fare nessun paragone con i fermi dei camion che in tante precedenti occasioni — e con quasi tutti i governi — avevano bloccato davvero il Paese e avevano messo in ginocchio l’economia. Proprio l’adozione di una forma di lotta da guerriglia urbana come a Torino e di blocco della circolazione ferroviaria come in Liguria dimostrerebbe la mancata adesione della categoria e i Forconi, alla stregua del famoso esercito di Franceschiello, avrebbero fatto ammuina proprio perché non sarebbero riusciti a dare una vera battaglia sul fronte dei Tir. È chiaro che occorre procedere con molta cautela nelle valutazioni, le grandi e medie organizzazioni di categoria che erano state le prime a indire il fermo dal 9 al 13 dicembre hanno nel frattempo strappato al governo Letta un accordo sul rimborso delle accise che giudicano vantaggioso e che di conseguenza difendono, ma la giornata di protesta si è articolata e sminuzzata in tanti episodi che è pressoché impossibile stilare un bilancio credibile.
E poi siamo ancora all’inizio, non è dato sapere se già oggi la protesta scemerà o al contrario si allargherà ad altre situazioni. Non sappiamo se le intimidazioni rivolte a diversi piccoli autotrasportatori produrranno o meno un effetto paura. Vedremo. Secondo Mino Giachino, ex sottosegretario ai Trasporti con il governo Berlusconi, il governo avrebbe dovuto evitare per tempo la saldatura tra Trasportounito e i Forconi, calibrando meglio l’accordo sulle accise e allargandolo ad altri capitoli che interessano di più quei camionisti proprietari anche di un solo camion (…)