ROMA – “La libidine anti-ricchi della sinistra”, Giampiero Mughini, dalle pagine di Libero, parla, attacca e difende il “ceto medio”. “Perfino il conto della pizza sarà in base al 740” ironizza Mughini.
Ecco l’articolo:
“Ne ha già scritto e bene Fausto Carioti sul Libero di ieri. Di questa libidine anti “ricchi” della buona parte della sinistra italiana che ogni volta, si tratti dell’Imu sulla prima casa o del far la voce grossa contro le “pensioni d’oro”, sfocia in una sorta di ossessione livellatrice e di egualitarismo all’amatricia – na. Ne parla uno che non dimentica un istante quanto sia amaro e catastrofico il debito pubblico italiano, e che i soldi per impedirne l’aumento bisogna raccattarli per ogni dove. Alla disperata, perché la situazione è disperata. Mettendo però da parte i paroloni che non significano niente tipo il termine che fa da passepartout di ogni retorica, il termine “solidarietà”, e come se in Italia non esistesse già un prelievo fiscale progressivo anche sull’aria che respiriamo.
Paghi già con un’aliquota crescente (nel senso che più dichiari al fisco e più paghi) la fattura dell’energia elettrica, le tasse scolastiche, l’abbonamento annuo al bus, la più parte delle spese mediche. Com’è giusto che sia. E anche se c’è adesso nel nostro governo qualcuno che vorrebbe commisurare l’entità delle multe autostradali alla dichiarazione dei redditi del colpevole di eccesso di velocità, il che mi sembra grottesco. A quando entreremo in pizzeria con il 740 sotto il braccio e pagheremo la Margherita a seconda dell’imponibile che vi è indicato? Così come mi mettevo a ridere (per non piangere) ogni volta che uno dei giornali più assidui nel puntare il dito contro i ricchi pubblicava l’inter – vista a un qualche miliardario americano il quale non vedeva l’ora di pagare più tasse pur di esprimere la sua solidarietà a quelli che “non hanno”. E vorrei ben vedere. Quel miliardario vive in un Paese dove l’aliquota fiscale più vessatoria non arriva al 30 per cento del tuo reddito. Noi viviamo in un Paese in cui i redditi di un’impresa industriale sono tassati fino al 70 per cento.
Da noi industriali miliardari (beninteso se leali verso il fisco) che vogliano pagare più tasse è impossibile che ne esistano. Così come è grottesco ascoltare a un telegiornale che il governo ha deciso di bloccare ancora nel 2014 le indicizzazioni delle “pensioni d’oro”, ossia di quelle il cui importo lordo mensile supera nientemeno che i 3.000 euro. “Pensioni d’oro”, esattamente così le chiamava il telegiornalista. Nel suo articolo di ieri Carioti scrive che i 3.000 euro lordi corrispondono a un netto di 2.300. Io penso anche meno, e comunque i 2.300 euro netti che tu ti sei pagato nel corso di un itinerario professionale lungo e qualificato (medico, docente universitario, giornalista di buon livello, dirigente industriale di medio livello) ti permettono sì e no di arrivare a fine mese se abiti in una grande città, e sempre che tu viva in una casa di tua proprietà. Arrivare a fine mese, altro che pensioni d’oro. Va bene che “un ricco” quanto a ceffoni che lo facciano piangere merita questo e anche di più, certo che bloccargli per tre anni di seguito l’adeguamento della pensione all’aumentato costo della vita è una bella botta.
E a non dire che gli analfabeti dell’ossessione anti-ricchi dimenticano sempre che il rendimento dei contributi pensionistici diminuisce man mano che aumenta il tuo reddito: e dunque che una vena di “solidarietà” esiste già all’avvio del calcolo della pensione. Gli ossessi anti-ricchi in quale Italia vivono, si guardano attorno, in quali case di amici entrano per cena? Clamoroso è stato l’autogol della parte del Pd che spasimava perché l’Imu sulla prima casa venisse appioppata alle case”.