ROMA – “Anna Maria Cancellieri è stata salvata per ragioni di governo, ma doveva dimettersi“. Massimo Giannini su Repubblica del 6 novembre scrive che la Cancellieri esce “indenne dal Parlamento”. Il ministro della Giustizia “non si pente e non si dimette”, anzi da una “strana maggioranza” la Cancellieri ottiene nuovamente la fiducia, quella “dolorosa” del Pd e quella “velenosa” del Pdl.
Su Repubblica Giannini scrive:
“IL PD considera esaustivo il chiarimento per ragioni di coscienza istituzionale. Non rinuncia a ribadire «l’inopportunità» di quella conversazione con la compagna di Don Salvatore e la necessità di non distinguere mai più «tra cittadini di serie A e cittadini di serie B». Ma alla fine assolve il Guardasigilli, ancora una volta in nome di quella «responsabilità» che ieri gli ha imposto di sostenere il governo Monti e oggi gli impone di non far naufragare il governo Letta”.
Diversa la situazione del Pdl, per cui dare la fiducia a Cancellieri è un fatto di “convenienza”:
“Il Pdl, viceversa, fa quadrato sulla Cancellieri per ragioni di convenienza strumentale. La difende la perché vuole dimostrare che la sua telefonata alla signora Ligresti per «mettersi a disposizione» è legittima almeno quanto la telefonata di Berlusconi alla Questura di Milano per far liberare Ruby «nipote di Mubarak». Un’equivalenza impossibile e inaccettabile. Ma è solo in nome di questo ennesimo illusionismo politico, e non certo di un presunto «garantismo» giuridico, che oggi il partito del Cavaliere si schiera a fianco del Guardasigilli”.
Se in Parlamento la Cancellieri ha parlato, scrive ancora Giannini, sono molte le domande a cui non ha dato risposta, come quel “non è giusto” riferendosi all’arresto dei Ligresti:
“Perché quel 17 luglio, nel giorno dell’arresto di Ligresti e delle sue figlie, sentì il bisogno di telefonare a Gabriella Fragni, e di dirle: «Senti, non è giusto, non è giusto, lo so, povero figlio… Comunque guarda, qualunque cosa io possa fare, conta su di me… Appena riesco ti vengo subito a trovare, però qualsiasi cosa, veramente, proprio qualsiasi cosa adesso serva, non fate complimenti, guarda, non è giusto, non è giusto…»”.
Un “non è giusto” che, sottolinea Giannini, il ministro della Giustizia ripete ben 4 volte:
“Cosa «non è giusto» (ripetuto per ben quattro volte) nell’iniziativa dei magistrati che fanno scattare le manette ai polsi di una dinastia responsabile di un buco da 1 miliardo di euro, succhiato ai bilanci della Fonsai per soddisfare gli interessi personali del clan? E cosa vuol dire quel «qualsiasi cosa adesso serva» che il Guardasigilli si dichiara disposto a fare, per rimediare a quella «ingiustizia»? Infine, ed è il nodo cruciale della vicenda: può un ministro della Giustizia, pur animato dall’amicizia, esprimersi così di fronte a un’iniziativa disposta dall’autorità giudiziaria, di cui dovrebbe essere invece garante?”.
Questi i dubbi a cui il ministro non ha dato risposta, rivendicando semplicemente il carattere “umanitario” della telefonata ai Ligresti, una telefonata che va oltre, per Giannini, l’umana solidarietà e l’empatia:
“C’è invece un preciso giudizio di merito su quanto accaduto (cioè gli arresti dei Ligresti), che si traduce nella solidarietà alla famiglia e nella delegittimazione dei magistrati”.
Se la Cancellieri si è detta rammaricata per le parole usate nella telefonata, il mancato distacco che il ruolo le imponeva, scrive ancora Giannini, rende più grave l’errore:
“Purtroppo il «rammarico» non basta. Anche perché a inficiarne l’autenticità c’è un «forse» di troppo, riferito al «doveroso distacco» che il ruolo di ministro le imponeva. Aggiungere quell’avverbio equivale a non capire (o a fingere di non aver capito) l’enormità dell’errore commesso”.