ROMA – Fra il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e l’ex presidente della Camera Fausto Bertinotti c’è stato uno scambio di lettere sul Corriere della Sera sullo stato della democrazia in Italia. Secondo Bertinotti, Napolitano è andato oltre le sue prerogative:
“Signor Presidente, Lei non può. Lei non può congelare d’autorità una delle possibili soluzioni al problema del governo del Paese, quella in atto, come se fosse l’unica possibile, come se fosse prescritta da una volontà superiore o come se fosse oggettivata dalla realtà storica. Lei non può, perché altrimenti la democrazia verrebbe sospesa. Lei non può trasformare una Sua, e di altri, previsione sui processi economici in un impedimento alla libera dialettica democratica. I processi economici, in democrazia, dovrebbero poter essere influenzati dalla politica, dunque dovrebbero essere variabili dipendenti, non indipendenti.
Lei non può, perché altrimenti la democrazia sarebbe sospesa. Sia che si sostenga che viviamo in regimi pienamente democratici, sia che si sostenga, come fa ormai tanta parte della letteratura politica, che siamo entrati, in Europa, in un tempo post-democratico, quello della rivincita delle élites, Lei non può. Nel primo caso, perché l’impedimento sarebbe lesivo di uno dei cardini della democrazia rappresentativa cioè della possibilità, in ogni momento, di dare vita ad un’alternativa di governo, in caso di crisi, anche con il ricorso al voto popolare. Nel secondo caso, che a me pare quello dell’attuale realtà europea, perché rappresenterebbe un potente consolidamento del regime a-democratico in corso di costruzione.
[…] Quando gli chiede di sostenere il governo perché la sua caduta porterebbe a danni irreparabili, Ella contribuisce alla costruzione dell’edificio oligarchico promosso da questa costituzione materiale. Nel regime democratico ogni previsione politica è opinabile perché parte essa stessa di un progetto e di un programma che sono necessariamente di parte; lo stesso presunto interesse generale non si sottrae alla diversità delle sue possibili interpretazioni.
[…] Quel che vorrei proporLe è che nella politica e in democrazia si possa manifestare un’altra e diversa idea di società rispetto a quella in atto e che la Costituzione repubblicana garantisce che essa possa essere praticata e perseguita. Il capitalismo finanziario globale non può essere imposto come naturale, né la messa in discussione del suo paradigma può essere impedito in democrazia, quali che siano i passaggi di crisi e di instabilità a cui essa possa dar luogo. O le rivoluzioni democratiche possono essere possibili solo altrove?”
Bertinotti parla di una democrazia sospesa, di un “edificio oligarchico” messo in piedi in un “tempo post-democratico” di “rivincita delle élites”, in cui col ricatto della crisi finanziaria e del debito pubblico viene “impedita la dialettica democratica” e “congelato” il Parlamento.
Di fatto, afferma che presentare il governo di Grande coalizione guidato da Enrico Letta come unica alternativa possibile, altrimenti il crac, significa impedire la possibilità – che il Parlamento ha – di far cadere quel governo e di formarne uno più politicamente omogeneo dopo nuove elezioni.
Sullo sfondo, Bertinotti pone altre due grandi questioni: la nostra Costituzione, che prevede una repubblica parlamentare, è stata snaturata in un sistema presidenziale, con Camera e Senato che non hanno più una funzione legislativa autonoma. La seconda questione è quella della sovranità, limitata e impiccata ai voleri della Troika Fmi-Bce-Ue.
Napolitano risponde rimarcando di non essersi mai scostato dal ruolo che la Costituzione gli impone e di non aver mai superato i limiti da essa imposti ai suoi poteri. Prima di farlo, si concede una punta di sarcasmo, parlando di “ambiziosa sintesi” di grandi temi nella lettera dell’ex presidente della Camera:
“Gentile Direttore, la «lunga consuetudine» e il reciproco rispetto consentono anche a me un discorso schietto e amichevole in risposta alle domande rivoltemi, attraverso il Corriere, da Fausto Bertinotti. O meglio alla domanda essenziale e più attuale, non potendo raccogliere il vasto arco di valutazioni e questioni, storiche o ideologiche, toccate, in ambiziosa sintesi, nella «lettera aperta»”.
Quindi Napolitano viene al punto:
“La domanda, posta in termini stringenti, riguarda quel che il presidente della Repubblica «non può». Ed è in effetti molto quel che egli non può, sulla base del ruolo e dei poteri attribuitigli dalla Costituzione repubblicana. Ne sono ben consapevole, essendomi attenuto rigorosamente a quel modello, negli ultimi mesi come sempre nel settennato trascorso: a partire da quegli anni 2006-2007 quando con l’allora presidente della Camera collaborammo strettamente e in piena sintonia istituzionale.
Non posso certo «congelare» né «blindare» (termini, entrambi, di fantasia o di polemica a effetto) un governo ancor fresco di nomina — nemmeno tre mesi — che è, scrive Bertinotti, solo «una delle possibili soluzioni al problema del governo del Paese»”.
Il presidente della Repubblica sottolinea come a Letta non ci sia alternativa perché in questo Parlamento non ci sono maggioranze alternative:
“Ma c’è bisogno di ricordare l’insuccesso del tentativo dell’on. Bersani, che ebbe da me, dopo le elezioni di febbraio, l’incarico, senza alcun vincolo o limite, di esplorare la possibilità di una maggioranza parlamentare diversa da quella che è stata poi posta a base del governo dell’on. Letta? E i successivi e più recenti sviluppi politici hanno forse fatto delineare quella possibilità di cui l’on. Bersani dovette registrare l’insussistenza?”
Napolitano respinge con irritazione l’accusa di aver congelato il Parlamento e aver impedito la dialettica democratica. Ricorda inoltre che ad elezioni si può andare sempre, ma che di elezioni anticipate l’Italia repubblicana è malata: ne ha vissute fin troppe:
“Comunque, nessun «congelamento» ovvero «impedimento» — parole grosse — «alla libera dialettica democratica». Il Parlamento è libero, in ogni momento, di votare la sfiducia al governo Letta. Ma il presidente ha il dovere di mettere in guardia il Paese e le forze politiche rispetto ai rischi e contraccolpi assai gravi, in primo luogo sotto il profilo economico e sociale, che un’ulteriore destabilizzazione e incertezza del quadro politico-istituzionale comporterebbe per l’Italia. So bene che «in caso di crisi», resta «il ricorso al voto popolare» e che da qualche parte si confida nella possibilità «di dare vita» così «a un’alternativa di governo». Ma di azzardi la democrazia italiana ne ha vissuti già troppi. Dovetti io stesso sciogliere le Camere nel febbraio 2008, prendendo atto dello sfaldamento di una maggioranza che si presumeva «omogenea» e dell’inesistenza, allo stato, di una diversa maggioranza di governo. E dovetti penare per evitare lo scioglimento delle Camere nel novembre 2011 e — all’indomani dell’insediamento del nuovo Parlamento — nella primavera del 2013. Si comprenderà che da presidente — guardando anche a decenni di vita repubblicana — io consideri il frequente e facile ricorso a elezioni politiche anticipate come una delle più dannose patologie italiane
Uno scambio di lettere, modalità che non entusiasma Eduardo Di Biasi del Fatto Quotidiano:
“Nel giorno in cui il governo appena messo al riparo da Napolitano pone la fiducia sul “decreto del fare” ce ne sarebbe a sufficienza, visti gli attori in campo e la reiterazione del messaggio diretto il Colle, per un dibattito politico alto. Dovrebbero parlare i presidenti di Camera e Senato, per rivendicare il ruolo del Parlamento sovrano, semmai anche dalle critiche sollevate dall’ex presidente di Montecitorio. Invece a Bertinotti risponderà solo e soltanto il presidente della Repubblica, difendendo la costituzionalità del proprio operato: oggi, in una lettera al Corriere della Sera. Democrazia postale”.
A dare ragione a Bertinotti (ex socialista lombardiano, ex comunista ingraiano) è Filippo Facci (ex radicale, ex craxiano) su Libero Quotidiano. Il giornalista si rammarica del fatto che a porre questioni centrali per il futuro della nostra democrazia siano “le epistole di due ex comunisti”:
“Bertinotti vi piacerà o meno, ma in una lettera rivolta a Napolitano e pubblicata sul Corriere della Sera (ne riferiamo all’interno) ha messo nero su bianco la questione democratica forse più importante del nostro tempo. Questa, più o meno: non è che possiamo vivere sotto il perenne ricatto dell’Europa economica e quindi accettare che la caduta di un qualsiasi governo – prima Monti, poi Letta – comporti per forza dei «danni irreparabili» che rendano la governabilità un mito assoluto. In democrazia non funziona così. Non è che ci sono dei processi economici imprescindibili coi governi che devono esistere e resistere solo per arrancarvi dietro: i governi servono anche e soprattutto per influenzarli, i processi economici, non solo per inseguirli; con le politiche economiche e sociali che imperano in Europa, del resto, si potrebbe anche non essere d’accordo, così come l’idea di «interesse generale» potrebbe variare da Roma a Bruxelles. Ergo, i vincoli alla nostra sovranità – che già ci sono – non possono spingersi al punto di demonizzare ogni alternativa di governo o il vituperato ritorno al voto popolare, che farà anche schifo ma resta il cardine della democrazia rappresentativa. Certo, in ogni momento il Parlamento è libero di votare la sfiducia al governo, ma il punto è proprio questo: il Parlamento è libero? Notevole che per riparlarne si debba ricorrere alle epistole di due ex comunisti”.
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