
Sul nuovo Governo Letta, vari e contrastanti sono i commenti dei quotidiani di domenica mattina. Ne riportiamo alcuni.
Mette i piedi nel piatto Antonio Padellaro sul Fatto Quotidiano ed è
“un piatto avvelenato”,
solo addolcito
“dal rinnovamento generazionale, la bella storia di Josefa Idem campione di governo e la novità di un ministro dell’Integrazione di colore, Cécile Kyenge inseriti [in una] delegazione di basso profilo [che] completa la tragedia”
Si chiede Antonio Padellaro:
“Chissà come devono sentirsi gli otto milioni e mezzo di elettori del Pd che lo scorso febbraio avevano pensato di votare contro Berlusconi e che ora si ritrovano al governo proprio con il Pdl di Berlusconi. Un tradimento politico che non ha precedenti nella storia repubblicana, sancito solennemente dal presidente Giorgio Napolitano, vero, unico, grande regista dell’operazione”.
“Che poi questo ibrido mostruoso degno del dottor Frankenstein sia ingentilito da un qualche nome di prestigio in più (Emma Bonino, Fabrizio Saccomanni) e da qualche impresentabile in meno è la conferma dell’imbroglio. L’assenza dei pezzi da novanta, da Brunetta a Schifani, da Monti a D’Alema non è una buona notizia […] perché non offre sufficiente riparo politico al governo politico che, in men che non si dica, potrebbe trovarsi ridotto a rango di governo balneare. Molto dipende da Berlusconi […] E anche se la Giustizia è toccata al “tecnico” Cancellieri, al Caimano giustamente preoccupato per l’esito dei suoi numerosi processi non mancheranno gli interventi da larghe, anzi larghissime intese di Csm, Cassazione e Consulta. Ancora una volta, l’uomo di Arcore “a un passo da piazzale Loreto” (Giuliano Ferrara), grazie al suicidio del Pd e agli errori di Beppe Grillo (non votare Romano Prodi)”
è tornato in gioco. E il gioco, conclude il sospettoso ma probabilmente nel giusto Padellaro può essere quello di
“condurre fino in fondo la battaglia per l’abolizione dell’ Imu, formidabile calamita di voti”
per poi
“staccare la spina e prendersi tutto il piatto con le elezioni anticipate già nel prossimo autunno”.
Stefano Folli, del Sole 24 Ore, è positivo. Il Governo Letta è
“Politico ma presidenziale”
di cui
“il meno che si possa dire, di primo acchito, è che si tratta di un governo ottimista. Ottimista nelle scelte dei vari ministri, con quei volti nuovi e quel numero senza precedenti di donne. In sintonia con lo spirito dei tempi. Ma l’ottimismo si respira anche nella visibile soddisfazione di Giorgio Napolitano, felice di aver chiuso con successo una delle partite più complesse della nostra storia politica”.
[…]
“Il senso delle scelte compiute si comprende solo se si ammette che questo esecutivo di larga coalizione [larghe intese parole tabu] rappresenta il primo, vero tentativo di un sistema malato e ingessato di passare alla riscossa e di sconfiggere i movimenti di contestazione. Se i Cinque Stelle continuano a puntare sul fallimento definitivo (in autunno, prevede cupamente il loro leader) e sulla notte della Repubblica, si apre uno spazio non irrilevante per ridimensionarli attraverso un programma riformista semplice e concreto”.
Per Stefano Folli è stata
“eccellente l’idea di affidare il ministero degli Esteri a Emma Bonino, donna di spessore internazionale, nonché di notevole esperienza politica”.
Ed è un “colpo d’ala” di Napolitano, che così
“è riuscito a consolidare il profilo europeo dell’esecutivo anche con un’altra nomina di grande qualità, quella di Fabrizio Saccomanni all’Economia”.
Eugenio Scalfari, fondatore di Repubblica, è tacitiano: titolo:
“Un medico per l’Italia malata”.
E poi:
“Il Governo Letta
“è nato [sabato] pomeriggio. Presterà giuramento [domenica] mattina e si presenterà al Parlamento [lunedì]. Nelle circostanze date è un buon governo. Enrico Letta aveva promesso competenza, freschezza, nomi non divisivi. Il risultato corrisponde pienamente all’impegno preso, con un’aggiunta in più: una presenza femminile quale prima d’ora non si era mai verificata. Emma Bonino agli Esteri è tra le altre una sorpresa molto positiva; sono positive anche quelle della Cancellieri alla Giustizia e di Saccomanni all’Economia.
“L’intervento di Napolitano nella sala stampa del Quirinale dopo la lettura della lista e le parole di ulteriore chiarimento da lui pronunciate confermano la solidità del risultato. Persino il Movimento 5 Stelle dovrebbe prendere atto che un passo avanti verso un cambiamento sostanziale è stato compiuto”.
Per Marcello Sorgi, sulla Stampa,
“la strada è ancora tutta in salita”.
Anche se
“la nascita del governo Letta è in qualche modo un fatto storico, [perché] non è un’esagerazione: occorre tornare al 1946, per trovare partiti con posizioni opposte chiamati a collaborare, in condizioni d’emergenza, nello stesso esecutivo”
si tratta però del solo e
“unico punto di contatto tra la fine di una guerra vera e la conclusione, temporanea non si sa quanto, di uno scontro parolaio durato quasi 20 anni. Il resto è diverso e anche l’Italia di oggi, pur con tutti i guai che la affliggono, è ben lontana, per sua fortuna, da quella moribonda e affamata di quasi settant’anni fa”.
“Ma basterà, questo, a garantire la pacificazione, di cui hanno bisogno il governo per governare e l’Italia per ricominciare a sperare di uscire dalla crisi? Non è detto.
“La strada che Letta e i suoi ministri dovranno percorrere è tutta in salita. Con almeno tre fermate decisive: dopo le quali il governo potrà, certo, riprendere il suo cammino, oppure no.
1. la sentenza d’appello del processo Mediaset che attende Berlusconi attorno al 20 maggio, tra meno di un mese. A giudizio degli avvocati del Cavaliere, che venerdì sera volevano convincerlo nuovamente a far saltare il tavolo, le previsioni sono funeste. L’imputato potrebbe uscirne, non solo con la conferma della condanna a quattro anni ricevuta in primo grado (quella che lo convinse a tornare in campo a sole quarantott’ore dall’annuncio del ritiro), ma anche della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, che potrebbe chiudere la sua esperienza politica”.
2. la situazione economica. Monti lascia in eredità a Letta una manovra che oscilla fra i tredici e i diciannove miliardi, Imu esclusa, che quindi possono diventare ventitré, in caso di cancellazione della tassa sulle prime case, o addirittura ventisette, se si cercherà il modo di restituire quella versata nel 2012, come ha promesso Berlusconi. Difficile sarà reggere le spinte contrapposte dei sindacati, che chiederanno subito aiuti urgenti per il lavoro, e della Confindustria, che rivendicherà aiuti alle imprese, da troppo tempo lasciate al loro destino.
3. Pd (ma non solo). È chiaro, basta guardare con attenzione alla composizione della lista, che il maggior partito del centrosinistra – nel momento in cui s’è rotta l’alleanza con Vendola, passato all’opposizione, e continuando, Grillo, a sparare sull’«inciucio» -, non è stato in grado di mettere la faccia fino in fondo sulle larghe intese. Il Pdl, invece, ha fatto una scelta diversa: ha proposto ministri non conflittuali, come Gaetano Quagliariello, già componente della commissione dei saggi voluta da Napolitano, al quale toccherà guidare la difficile partita delle riforme istituzionali e della legge elettorale. E le sue due ministre più giovani, Beatrice Lorenzin e Nunzia Di Girolamo, sono tra i volti più conosciuti dei talk-show e hanno una completa identificazione con Berlusconi, di cui rappresentano l’ultima generazione e il risultato di uno sforzo di rinnovamento”.
Per Massimo Franco del Corriere della Sera si tratta invece di un
“ritorno alla realtà”:
“L’immagine che immortala la nascita del governo di Enrico Letta [è quella] nella quale il premier stringe la mano con entrambe le sue a Giorgio Napolitano, apparso a sorpresa quasi per offrirgli un supplemento di legittimazione. Il capo dello Stato ha definito Letta «l’artefice» di una coalizione così inedita da cancellare vent’anni di Seconda Repubblica di «nemici». E ha chiesto di non cercare strani aggettivi per un governo semplicemente «politico», benché manchino tutti i protagonisti del passato.
“Si può anche dire che ha vinto ai punti Silvio Berlusconi; e che il Pd appare sotto rappresentato nei ministeri. Ma gridarlo significherebbe sbilanciare strumentalmente l’equilibrio raggiunto. Quanto sta accadendo grazie alla determinazione di Napolitano, alla tenacia del premier e al senso di responsabilità, o magari solo alla rassegnazione dei partiti, è un ritorno della politica alla realtà: tutti hanno rinunciato a qualcosa”.
