“Il marcio nei lavori pubblici scoperto con 50 anni di ritardo”, Vittorio Feltri

Il marcio nei lavori pubblici scoperto con 50 anni di ritardoIl marcio nei lavori pubblici scoperto con 50 anni di ritardo
Lupi e Alfano (LaPresse)

ROMA – “Il marcio nei lavori pubblici scoperto con 50 anni di ritardo” è il titolo dell’articolo a firma di Vittorio Feltri sul Giornale. “Il ministero dei Lavori pubblici fa gola a tutti. Chi se ne impossessa gode e gli altri stanno a guardare, gonfiandosi di invidia. Non stupisce che Maurizio Lupi, ciellino, ex Forza Italia e ora Ncd (Nuovo centrodestra), sia stato costretto a sloggiare.”

Lui stesso si è cacciato nei guai fornendo alla maggioranza il pretesto per invitarlo perentoriamente a togliersi di mezzo. La vicenda è nota. Pur non indagato, Lupi è stato intercettato al telefono e si è scoperto un suo altarino antipatico: egli ha raccomandato il figlio ingegnere affinché trovasse un posto, peraltro modesto, stipendio misero, 1.300 euro mensili, pare. Inoltre, il ragazzo avrebbe ricevuto in dono un Rolex e un abito. Robetta. Però sufficiente per accusare l’ormai ex ministro di aver approfittato del proprio ruolo istituzionale allo scopo di ottenere favori.

Veniali o gravi, i peccati sono peccati e, se accertati, si pagano cari. Perché? L’obiettivo di ogni politico è la poltrona. Per la conquista della quale scoppiano guerre fratricide. Lupi ci ha rimesso le penne e non poteva essere diversamente: la sua cadrega era troppo importante e a molti non è parso vero di fargliela perdere nella speranza di occuparla. In sintesi, questo è successo. Occorre precisare che i lavori pubblici sono da sempre nell’occhio del ciclone, e vediamo di spiegare perché. In Italia le opere statali (dalle più piccole alle più grandi) costano mediamente il doppio o addirittura il triplo rispetto ad altri Paesi europei, e i tempi di esecuzione sono assai lunghi, troppo lunghi per non incidere sulla spesa finale, alzandola a dismisura. Il sospetto che qualcuno ci marci è fondato? L’esperienza insegna che gli appalti, a causa di regole contorte e interpretabili in mille maniere (non tutte oneste), si prestano a imbrogli: spesso se li aggiudica l’impresa che sgancia tangenti. Nel caso di Lupi, non è corretto affermare ci sia sotto un giro di corruzione. Bisogna aspettare la conclusione dell’inchiesta. Ma il dubbio è gigantesco. Infatti, il funzionario deus ex machina del ministero, Ercole Incalza, è già finito agli arresti nell’ambito delle indagini che hanno provocato le dimissioni – incoraggiate da Renzi – del ciellino.

Incalza, nonostante abbia superato l’età massima per il ruolo ricoperto, continuava a menare il torrone: gli appalti erano dominio suo. Secondo le carte giudiziarie, costui avrebbe maneggiato (talvolta incassato, probabilmente) cifre impressionanti, centinaia di milioni. Avrà avuto dei complici. A noi qui non interessano gli aspetti investigativi, bensì quelli politici. L’arrestato capeggiava la struttura da decenni e mai nessuno (eccetto Antonio Di Pietro) si è sognato di cacciarlo. Era stimato, vezzeggiato, corteggiato e soprattutto immancabilmente confermato signore e padrone degli appalti. Solo adesso la magistratura si è accorta che non era e non è uno stinco di santo. E questo, passi (…)

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FIlippo Limoncelli