ROMA – La riforma alla prova. Nel terzo trimestre 2013 apprendistato in calo del 7% rispetto allo stesso periodo del 2012.
Scrive Claudio Tucci sul Sole 24 ore:
L’apprendistato, che punta a essere il contratto d’ingresso prevalente dei giovani nel mondo del lavoro, continua a rimanere marginale: nel terzo trimestre 2013, secondo gli ultimi dati diffusi dal ministero del Lavoro, sono stati attivati 57.843 rapporti per apprendisti, pari al 2,4% del totale di attivazioni (2,3 milioni nel periodo considerato). E rispetto al terzo trimestre 2012 c’è stato anche un calo del 7% (pari a -4.733 contratti).
In diminuzione pure gli avviamenti di contratti di collaborazione (-3,5% sull’anno, pari a 5.555 attivazioni in meno), e i contratti a tempo indeterminato (-15,6%, pari a 67.808 contratti in meno rispetto al terzo trimestre 2012). In crescita, sempre nel confronto tendenziale, solo i contratti a tempo determinato (ma di appena 7.510 unità, e cioè di un modesto +1,3%).
Certo, la fortissima crisi economica ha influito pesantemente sul nostro mercato del lavoro. Ma in parte questa contrazione di occupati è frutto pure dell’irrigidimento normativo introdotto dalla legge 92 (Fornero). Significativo, al riguardo, è il paragone che i dati del ministero del Lavoro offrono tra il terzo trimestre 2012 (e quindi subito dopo l’entrata in vigore della legge 92) e il terzo trimestre 2013, un anno dopo. L’unica tipologia contrattuale in aumento è il contratto a termine (che rappresenta anche il 70% delle assunzioni fatte nel terzo trimestre 2013).
La maggior parte di questi nuovi contratti «è indubbiamente da ascriversi al contratto acausale – sottolinea il giuslavorista Stefano Salvato – e questo significa che il freno all’utilizzo del contratto a termine è rappresentato dalla causa giustificatrice del termine, e cioè le ragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive». Il decreto 76 (Giovannini) è intervenuto su questo aspetto (è acausale il primo contratto a termine di 12 mesi, e ogni altra ipotesi individuata dai contratti collettivi, anche aziendali). Ma è evidente che l’eliminazione tout court della causa giustificatrice del contratto a tempo farebbe aumentare di molto questi rapporti, azzerando il contenzioso (del resto, parte della dottrina giuslavoristica sottolinea da tempo come la giustificazione del termine sia «anacronistica» vista l’esistenza della legge 247 del 2007 che ha introdotto il limite di durata massima del rapporto a termine di 36 mesi).
Un ulteriore elemento di criticità è la maggiorazione contributiva dell’1,4% per l’Aspi. Anche se ora il Ddl stabilità, modificando la legge 92, prevede la restituzione integrale dell’addendum in caso di trasformazione del contratto a tempo indeterminato (prima era ammesso solo nel limite di 6 mesi).
Il crollo dei contratti a progetto è dipeso essenzialmente dalla stretta normativa (con una ridefinizione più stringente del progetto e l’introduzione di una presunzione assoluta di subordinazione, in caso di mancata specifica del progetto). Ciò ha determinato una fuga da questo contratto; e le stesse collaborazioni genuine soffrono l’aumento dell’aliquota contributiva prevista a favore della gestione separata. Il formalismo burocratico introdotto dalla legge Fornero riguardo l’obbligo preventivo di comunicazione (e le connesse conseguenze sanzionatorie) da parte del datore di lavoro sta certamente disincentivando anche l’utilizzo del lavoro a chiamata, che, a dir la verità, non ha mai avuto grande fortuna in Italia (…)