Il Corriere della Sera: “Imu, rischio seconda rata”. Una violazione macroscopica. Editoriale di Giovanni Sartori:
“Beppe Grillo è un formidabile attore e demagogo. Probabilmente anche Masaniello lo era nella Napoli del suo tempo, del 1600. Ma Masaniello non aveva l’elettricità (intendi: microfoni, televisioni, Internet e bambini derivati). Masaniello arrivava a Napoli, Grillo arriva a tutta l’Italia. Poteva essere fermato? Può ancora essere fermato?
L’Italia pullula di giuristi e anche di giuristi davvero insigni. Eppure a nessuno di loro è venuto in mente, a quanto pare, l’articolo 67 della nostra Costituzione, per il quale «ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». Questa disattenzione è spiegabile? Forse sì, perché le nostre facoltà di Giurisprudenza si sono chiuse in un «formalismo» così introverso da ignorare una norma inserita in tutte le costituzioni delle liberal democrazie europee sin da quando fu stabilita dalla Rivoluzione Francese.
Nelle nostre facoltà di Legge si insegna storia del diritto italiano (come è giusto che sia) ma non si insegna storia del costituzionalismo. Incredibile ma vero. Il risultato è che ai nostri costituzionalisti sfugge che il divieto del mandato imperativo istituisce la rappresentanza politica dei moderni. Perché la rappresentanza esisteva anche nel Medioevo e nell’antichità, ma era appunto una rappresentanza assoggettata al vincolo del mandato imperativo, e quindi di delegati o ambasciatori che presentavano al Sovrano le richieste dei loro mandanti. Il divieto del mandato imperativo è dunque vitale per un sistema di democrazia rappresentativa. Se togli questo divieto la uccidi. E il grillismo costituisce di fatto una violazione macroscopica di questo principio”.
Un governo debole che però è rischioso mettere in discussione. La nota politica di Massimo Franco:
“La presenza in Parlamento del premier Enrico Letta accanto alla Guardasigilli Annamaria Cancellieri sottolineava che dal destino del ministro della Giustizia dipendeva quello dell’intero governo. La fiducia ottenuta ieri dopo le polemiche sulla scarcerazione di una delle figlie del costruttore Salvatore Ligresti ha dunque evitato una crisi, almeno per adesso. La Cancellieri riemerge dalla vicenda rilegittimata ma anche più esposta alle critiche. E le tensioni non sono finite: tornano a concentrarsi sulla decadenza di Silvio Berlusconi da senatore e sulla Legge di Stabilità. Quanto è successo certifica sia la debolezza dell’esecutivo, sia la difficoltà di affossarlo senza allungare ombre preoccupanti sulla legislatura.
Il ministro della Giustizia aveva messo in chiaro che se fosse stata «d’intralcio» non avrebbe esitato a «fare un passo indietro». Il problema è che le sue dimissioni avrebbero avuto conseguenze che molti, per ragioni diverse, temono; e che il Quirinale vuole scongiurare. Anche perché dopo la Cancellieri sarebbe finito nel mirino politico il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, contro il quale si scagliano i l Movimento 5 stelle e un Pdl che gli rimprovera di mettere in dubbio l’abolizione della seconda rata dell’Imu, la tassa sulla prima casa. Resta infatti un serio problema di copertura finanziaria”.
Nella sezione rossa tra urla, minacce e insulti omofobi. Scrive Ernesto Menicucci:
“«Froci», «fascisti», «zozzi». Insulti, accuse, polemiche, contestazioni. Benvenuti a Casalbertone, periferia est della Capitale, zona popolare e universitaria, tra la Prenestina e la stazione Tiburtina. Qui, dove la sinistra vince da sempre, si consuma una delle lacerazioni più profonde del Pd nella corsa alle primarie. Renziani e cuperliani? No, non qui. La «faida» è ancora più interna, tutta interna ai «seguaci» del deputato triestino Gianni Cuperlo. Generazioni in lotta, giovani iscritti contro militanti di lungo corso, il tutto mixato e shakerato nel grande tritacarne di Facebook , strumento — quello sì — trasversale e per tutte le età.
Finisce a male parole, a denunce di frasi «omofobe» e «sessiste». Da una parte i sostenitori di Lionello Cosentino, 60 anni, ex assessore regionale, ex senatore, «portato» dal guru romano Goffredo Bettini. Dall’altra Tommaso Michea Giuntella, 30 anni, «bersaniano» doc (era uno dei quattro della famosa foto col pugno chiuso), papà giornalista (Paolo, quirinalista del Tg1 scomparso qualche anno fa), nonno (Vittorio Emanuele) reduce dai lager nazisti. Tutti e due, ironia della sorte, voteranno alla fine per Gianni Cuperlo, contro Matteo Renzi. Perché Casalbertone, che ha ospitato la prima sede romana dell’Ulivo prodiano, è così: qui la sinistra è ancora sinistra, qui il Pci-Pds-Ds-Pd ha maggioranze granitiche, che hanno prodotto oltre 15 anni di governo territoriale. Poi arrivano i congressi dei circoli, e c’è un mondo che va in frantumi.
Il circolo Pd è dietro una porticina nera, in ferro, su una via in salita intestata a Giuseppe Pianell, generale dell’esercito, già ministro della Guerra del Regno delle Due Sicilie durante lo sbarco dei Mille, poi comandante dell’unica divisione italiana che, a Custoza, non arretrò di fronte agli austriaci. Passato glorioso, targa sbagliata: Pianell morì nel 1892, e non nel 1902 come c’è scritto per strada. La zona è di quelle «ad alta tensione»: a cento metri c’è il circolo «Futurista» di CasaPound, il secondo polo dei «fascisti del terzo millennio» (definizione loro), poco più in là un paio di centri sociali, più la sezione del Pdl. Qualche volta, finisce in rissa: l’ultima, con bastoni, pietre e fumogeni, è di un anno e mezzo fa.
Anche stavolta vengono evocati «i fascisti», ma il contesto è un altro. Domenica pomeriggio, 3 dicembre. Il circolo Pd elegge il suo segretario e ad appoggiare i due principali candidati — Carlotta Paoluzzi con Giuntella, Domenico Perna con Cosentino — arrivano i big: Micaela Campana di qua, Michele Meta di là. Clima teso, elezione all’ultimo voto. La spunta la Paoluzzi: 67 voti contro 63. Vittoria non «piena», però: nei delegati, infatti, finisce 6 a 6. A sera, ci sono ancora urla, concitazione. Ad una giornalista di youdem, renziana, viene tolto il cellulare e impedito di fare riprese. I militanti tornano a casa, sia i giovani che gli «storici», con l’adrenalina in corpo”.
La prima pagina di Repubblica: “Il Pd salva la Cancellieri”.
Il Fatto Quotidiano: “Ligresti: raccomandai la Cancellieri a Silvio”.
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La Stampa: “Il Tesoro riapre il caso Imu”.
Congo, la resa dei ribelli nella guerra infinita per i tesori. Scrive Domenico Quirico:
“Le guerre africane: ogni volta che provi a raccontarle si impossessa di te una sorta di assenza, di letargia inquieta. Forse è impossibile narrarle: non ci sono fronti, avanzate, ritirate. Nessuno tra i combattenti è quello che racconta di essere.
I ribelli non sono rivoluzionari ma banditi, i governativi hanno le uniformi ma si battono non per idee astratte o per la paga che non c’è, ma per il bottino, le donne da violare, l’etnia nemica da sradicare.
Nel Kivu, l’Est del Congo, ti accorgi subito che ci sono due mondi. C’è un mondo di giorno dove comandano apparentemente i soldati, il remoto governo di Kinshasa, i caschi blu, insabbiati qui da vent’anni per far la guardia, sentinelle metafisiche e frustrate, a una pace che non c’è. E poi c’è il mondo della notte dove comandano gli altri: i ribelli, le bande dei guerrieri bambini, le milizie comandate da stregoni che garantiscono l’invulnerabilità con pozioni e formule magiche, il mondo degli spiriti dei fantasmi degli incubi. Uomini cenciosi, ma con i kalashnikov, emergono dalle foreste, occupano per qualche ora città, saccheggiano miniere, distruggono basi di soldati affamati e senza scarpe che vivono di elemosine, portandosi dietro le famiglie e le bestie. Poi, all’alba, la luce li ricaccia nel buio del baldacchino arboreo. La foresta è come un muro, tanto è spessa e fitta. Ciascuno lì è piccolo, questa terra non sembra fatta per gli uomini. Sopravvivere è una lotta continua, non sai mai cosa ti assalirà, una fiera, un serpente, un altro uomo.
Le guerre, qui, sono legate a nomi misteriosi, alla tavola di Mendeleev: il tantalio per esempio, un metallo che resiste alla corrosione”.
La prima pagina del Giornale: “Tasse, cose da matti”.