Imu, Lac Megantic, Egitto, Wimbledon e F1: rassegna stampa e prime pagine

ROMA – Fallimenti, l’anno dei record. La Stampa: “L’annus horribilis per i fallimenti: 35 al giorno. Nel nostro Paese chiudono, non per i debiti ma per i mancati incassi, tre aziende ogni due ore. Un record svelato da un’indagine Unioncamere che fotografa la situazione della crisi italiana. Sul fronte dell’Imu, nel mirino le case sopra i 100-120 metri quadrati.”

Ogni due ore falliscono tre imprese. L’articolo a firma di Paolo Baroni:

“Trentacinque fallimenti al giorno. Ogni due ore in Italia muoiono 3 imprese: 5.334, per la precisione, nei primi cinque mesi dell’anno. Duecentottantaquattro in più (+5,6%) rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. La fotografia che scatta Unioncamere nel suo ultimo rapporto sulla crisi italiana, che la Stampa è in grado di anticipare, è impietoso. E’ la rappresentazione esatta di quel baratro di fronte al quale ci troviamo da mesi, o se vogliamo l’ultimo fotogramma del film della caduta senza fine della nostra economia: sono i numeri che fanno disperare le nostre imprese e vivere nell’inquietudine il governo. Oltre ai fallimenti crescono anche le domande di concordato, addirittura triplicate rispetto al 2012: passate da 539 a 904 casi (+68%). In alcuni casi si tratta di un modo per procrastinare situazioni già molto compromesse, in molti altri è invece la via breve per serrare i cordoni della borsa e liberarsi (per un po’) di tanti creditori.”

Imposta sulla casa, ora nel mirino quelle sopra i 100-120 mq. L’articolo a firma di Paolo Russo:

“Nel mirino dell’Imu tornano le case formato large, di metratura superiore a 100–120 metri quadri, classificate nella classe catastale A2, quella che raccoglie le abitazioni di tipo civile. Mentre Palazzo Chigi smentisce la stangata sui villini, i tecnici dell’Economia continuano a sfogliare la margherita delle opzioni per ridurre al minimo l’impatto dell’imposta sulla prima casa, senza però rinunciare a una quota eccessiva dei 4 miliardi di gettito previsti. Di petali ne sono rimasti tre. Il primo prevede di rimodulare l’imposta su 5 fasce di reddito Isee, innalzando progressivamente la franchigia dagli attuali 200 fino a un massimo di 600 euro per i nuclei familiari meno ricchi. Un modo per esentare oltre l’80% dei contribuenti ma che facendo pagare i più abbienti garantirebbe quasi la metà del gettito. Ma nelle stanze dell’Economia si è ragionato anche su un’altra idea, quella di far pagare oltre che i proprietari di ville e case signorili, anche chi possiede abitazioni di tipo civile, ma solo quando la metratura supera i 100 o i 120 metri quadrati. Che significherebbe far tornare a pagare tra i 2,5 e i 3 milioni di immobili, anche se esentati sarebbero comunque l’85% dei proprietari di prima casa. Costo dell’operazione: 2,2 miliardi, che sono sempre molto meno di quattro. I tecnici avevano ipotizzato di includere anche i villini nell’area dove colpisce l’Imu. Ma l’ipotesi è stata scartata perchè in questo modo si colpirebbero anche le casette a schiera delle zone periferiche ed ultra periferiche delle città, dove di certo non abitano i contribuenti definibili abbienti.”

Franceschini: “Aboliremo l’Imu sulla prima casa ma non a tutti”. L’articolo a firma di Carlo Bertini:

“Ministro Franceschini, il governo rischia davvero se non abolirete l’Imu? «E’ una specie di sport nazionale attaccare il governo. Un giorno dal nostro campo lo si accusa di fare contenti solo Brunetta o Schifani e non gli italiani; il mattino dopo gli attacchi arrivano da destra. Chi non sarebbe d’accordo a diminuire la pressione fiscale? Il problema è il quadro in cui operiamo. Quindi, più che alzare i toni ultimativi al governo, in una condivisione di responsabilità si deve cercare di fare le cose possibili, in un quadro che non è mai stato così difficile: tra vincoli europei, impossibilità di aumentare il prelievo fiscale, coalizione improbabile tra partiti avversari e sfiducia dei cittadini nella politica. E va ricordato a tutti che il necessario taglio della spesa pubblica non produce risorse immediate, mentre i tagli di Imu e Iva le richiedono subito».

Queste bordate a Saccomanni sono un avvertimento a Letta, o no? «Saccomanni è determinante per la credibilità europea e internazionale dell’Italia. Fin qui ha fatto bene: è responsabile e competente. E le sue scelte impegnano tutto il governo, non sono mai frutto di decisioni individuali. E quindi attaccare lui è come attaccare tutto il governo. Poi parliamo di numeri: la proroga dell’aumento Iva già decisa costa 1 miliardo, farla fino a dicembre ne costa 2, evitare l’aumento nel 2014, altri 4 miliardi. L’eliminazione dell’Imu prima casa costa 4 miliardi ogni anno. La somma fa 14 miliardi per 2013-2014. Quindi è evidente che vanno fatte delle scelte».

E come ne uscirete? «Per l’Iva si può contribuire anche facendo un ridisegno più equo delle aliquote tra 4, 10 e 21%: il paradosso della normativa mostra che i singoli prodotti nella fascia di Iva ridotta non rientrano in un disegno organico. Esempi: pasta al 4%, riso al 10%, frutta surgelata al 4%, verdura surgelata al 10%. Il rinvio di un punto potrebbe essere accompagnato da un ridisegno in una logica di maggiore equità. Per ora è stata trovata una copertura “ponte” che scatta a novembre, l’anticipo dell’autotassazione: se la maggioranza troverà in Parlamento coperture migliori per ottenere quel miliardo di euro a noi andrà bene. Per l’Imu sappiamo che l’esenzione per la prima casa è una priorità per il Pdl, quindi si farà, ma in modo ragionevole. La sospensione del pagamento finora non ha riguardato le case di lusso: per esempio si può intervenire in tal senso, senza toccare in alcun modo le villette bifamiliari dei pensionati che non hanno nulla a che vedere con le case di lusso. Poi, per l’Imu sulla seconda casa, bisogna immaginare un trattamento differenziato per le seconde, terze, quarte o quinte case. La logica deve portare ad una eliminazione dell’Imu prima casa dentro un disegno complessivo della fiscalità sugli immobili che coinvolga anche i comuni».”

I sopravvissuti di Lac “Un fiume di fuoco ci inseguiva ovunque”. L’articolo a firma di Monica Perosino:

“Lac Mégantic, dopo quaranta ore, brucia ancora. E mentre le fiamme illuminano il cielo chi è sopravvissuto può solo stare a guardare. Alcuni non sanno dove siano i loro amici, la famiglia, se siano ancora vivi. Altri non possono credere alla fortuna di essere ancora lì, anche se non hanno più un posto in cui tornare. A centinaia, impietriti, lo sguardo fisso sulle fiamme, il fumo e le macerie, osservano in silenzio quelle che erano le loro case, il supermercato, i graziosi ristoranti con i tavolini all’aperto. Rasi al suolo da un mostro carico di petrolio. Il mite sabato sera della piccola città del Québec è stato devastato da un treno merci lanciato a tutta velocità e deragliato alla curva del Lac. L’impatto e le esplosioni hanno inghiottito il «Musi Café», quaranta case, cinque negozi, un numero ancora imprecisato di persone. Sulla locomotiva in testa ai settantadue convogli, tonnellate di petrolio greggio su rotaia, non c’era nessuno. I conducenti erano in pausa, il treno in fase di stazionamento, 11 chilometri più a nord. «In qualche modo il treno è ripartito da solo – ha detto il vice presidente della Montréal, Maine and Atlantic Railway, Joseph McGonigle -. Non siamo ancora sicuri di cosa sia successo».”

Egitto, la piazza con El Baradei “E’ lui il leader”. L’articolo a firma di Francesca Paci:

“L’Egitto resta spaccato e se gli elicotteri militari sopra Tahrir rassicurano il fronte avverso ai Fratelli Musulmani, mettono però un’ipoteca pesante sulla tanto menzionata «riconciliazione nazionale». Dopo gli scontri degli ultimi giorni costati almeno 37 morti e 1400 feriti (un altro militare sarebbe stato ucciso ieri in Sinai), il muro contro muro, almeno al Cairo, è politico. La partita si gioca sul premier che gli attivisti di Tahrir insistono sia il leader dell’opposizione el Baradei anche a costo di rompere con al Nour, il partito salafita balzato una settimana fa sul carro del vincitore scaricando gli ex alleati Fratelli Musulmani ma responsabile del siluramento di sabato notte del «troppo liberale» ex capo dell’Aiea. In serata, l’ennesimo colpo di scena porta alla ribalta l’avvocato Ziad Bahaa El-Din, un socialdemocratico meno controverso di el Baradei che, nel caso diventasse premier, potrebbe lasciare el Baradei la vicepresidente o la guida della commissione costituente. «I salafiti non hanno partecipato né alla prima né alla seconda rivoluzione, se vogliono collaborare sono benvenuti ma non accettiamo veti da loro» afferma Emad Rauf, 30, membro del partito Free Egyptians, una delle 17 sigle antiislamiste riunite sotto il cartello «30 giugno». Ieri mattina si sono riuniti nel quartiere alla moda di Zamalek per rifiutare qualsiasi alternativa a el Baradei, che adesso si dice malato di laringite e dispensa no comment. Al Nour, già protagonista due anni fa di una campagna contro il bikini succinto della figlia del Nobel, argomenta che sarebbe un candidato divisivo non solo tra gli islamisti, per cui è un «amico degli Usa», ma anche tra gli egiziani, a stento informati del suo nome. Toccherà a Ziad Bahaa El-Din? I salafiti, rivela l’insider Abdullah Badran, avrebbero chiesto 48 ore di tempo.”

La trappola Imu. Il Giornale: “Esenzioni, riforme, ipotesi strampalate: il governo le prova tutte pur di non abolirla. Ma il Pdl non ci sta. Berlusconi: sul fisco non si tratta. Letta a rischio.”

L’Italia è già in ritardo Lo Stato non ha più alibi paghi subito le imprese. L’articolo a firma di Renato Brunetta:

“Win-win-win.Con l’ac­celerazione dei paga­menti delle Pubbli­che amministrazioni verso le imprese vincono tutti. Vincono le aziende,vince l’economia ita­liana, vince lo Stato, perché si ri­pristina il rapporto di fiducia tra governo e cittadino. L’Europa ci ha già detto di sì, e ci dice di far presto. Non serve alcun passag­gio parlamentare, perché il de­creto è già stato approvato e adesso è in fase di attuazione. I soldi ci sono. E gli effetti benefi­ci, facilmente intuibili, sono sot­to gli occhi di tutti. Ma perché allora il ministro dell’Economia,Fabrizio Sacco­manni, non persegue questa strada, che risolverebbe non so­lo i guai del Paese, ma anche i guai del governo, come ilfinan­ziamento­dell’eliminazione del­l’Imu sulla prima casa e del bloc­co dell’aumento dell’Iva? Forse perché non riesce a far funziona­re la su­a burocrazia e le burocra­zie di Regioni, Province e Comu­ni. Rispetto ai tempi del decreto siamo già in ritardo, e la situazio­ne potrebbe anche peggiorare. Lo strumento per salvare l’Italia c’è,ma lacattiva burocrazia e la cattiva politica lo impediscono. A questo punto serve un’opera­zione verità: stabilire una volta per tutte le cose da fare per por­tare il Paese fuori dalla crisi e de­nunciare chi si mette di traver­so. Deve essere il presidente del Consiglio, Enrico Letta, a pren­dere in mano l’intera strategia.”

Il Cav in allerta sulle tasse: Letta ora rischia davvero . L’articolo a firma di Francesco Cramer:

“Berlusconi aspetta, sem­pre con scetticismo, i ri­sultati di Letta su Imu e Iva. Per quanto riguarda la tassa che colpisce la prima casa, di fronte alle ipotesi più svariate pubblicate sui giornali e imme­diatemente smentite da Palazzo Chigi, il Cavaliere non arretra di un millimetro. Lascia che sui file economici, condividendone in pieno sostanza e metodo, ci pen­si il tandem Brunetta-Capezzo­ne. Due falchi ma su Imu, Iva e tasse in generale tutto il partito parla con una sola voce: nessun giochino, abolizione punto e ba­sta. La dimostrazione è che sia Brunetta (che richiama la ca­bina di regia per riformare la tassazione sugli immobi­li), sia Schifani («Non arretre­re­mo di un mil­limetro ») sia Quagliariello («Non è possi­bile fare il gioco delle tre carte») piazzano dei paletti al governo. Il Cavaliere sa che per Letta jr. non è e non sarà un compito faci­le tenere insieme la maggioran­za ma sulle tasse non intende ce­dere. Anche a costo di far cadere l’esecutivo delle larghe intese. Un’ipotesi che adesso ritiene malaugurata. Non è il momen­to. La strategia non cambia: indi­rizzare le politiche di Palazzo Chigi da dentro e aiutare il Paese a risollevarsi dal pantano della recessione.”

L’ultimo guaio di Grillo: perde il super assessore. L’articolo a firma di Lucia Galli:

“Lui dalla Sardegna lustra il boccaglio per respira­re meglio. L’altro da Par­ma stacca la spina alla Giunta e si dimette. Sul buen retiro «sme­raldo » di Beppe Grillo, a pochi giorni dalla sua seconda convo­cazione al Quirinale, si abbatte una tegola a cinque stelle che vale la credibilità dell’intero Movimento. Perché viene da Parma, il primo capoluogo espugnato dai grillini a colpi di slogan e promesse che oggi si stanno sgretolando, insieme al dietrofront del primo assessore pentastellato. Gino Capelli, commerciali­sta 49enne, titolare delle dele­ghe al bilancio ha detto basta. La sua avventura grillina si con­clude dopo un anno e un mese esatti. Lo scorso giugno fu il pri­mo a essere nominato, nella lunga gestazione della squadra di Pizzarotti: oggi è il primo ad andarsene. Considerato il «sin­daco ombra »,per l’importanza del suo ruolo in una città che proprio sul risanamento di un debito di 800 milioni di euro aveva basato il suo new deal , Ca­pelli ha da subito parlato poco e fatto molto di conto. Schivo ai li­miti dell’ermetismo, la sua ri­cetta di austerity quasi cister­cense, non ha mai convinto e, in pochi mesi, ha scontentato tutti in una città abituata a lar­gheggiare. Nella compagine grillina, un impasto misto di debuttanti in politica, Capelli spiccava per ca­pacità e professionalità: uno studio avviato, un curriculum con all’attivo alcuni casi nazio­nali come l’aver curato il falli­mento della Guru di Matteo Cambi e aver contribuito a «sco­perchiare » l’affaire Parmalat. Ora, mentre a Roma si consu­ma quotidianamente la crona­ca della diaspora a cinque stel­le, fra chi viene epurato e chi sce­glie di andarsene, anche a Par­ma le crepe nel Movimento si fanno più profonde e il «conta­bile » di Pizzarotti sceglie di tor­nare alla calcolatrice e all’« oblio» della sua professione, spegnendo le luci della ribalta politica. Alla base della sua deci­sione sarebbero ragioni perso­nali che rendono inconciliabi­le la sua attività professionale con il ruolo di assessore. Insom­ma, tornare a fare il commercia­lista è meglio che passare alla storia come «esperimento» gril­lino. Bando, dunque, all’impe­gno civico sbandierato un an­no fa: forse il meno grillino de­gli assessori di Pizzarotti è il pri­mo a ricredersi e a decidere di abbandonare la barca con le sue falle di bilancio.Un’altra te­gola cade sul movimento Cin­que Stelle, ma il leader genove­se­che sembra prenderla con fi­losofia, visto che si sta godendo le vacanze, che nelle sue priori­tà vengono prima, anche del­l’incontro con il capo dello Sta­to.”

Padroni di casa. La Stampa: “F1, show di Vettel: vince in Germania per la prima volta Tennis, Murray trionfa a Wimbledon: inglesi in delirio.”

Sempre lui. Vettel vince ancora e distanzia i rivali: sono 34 i punti di vantaggio La strategia non premia Alonso (4°), Massa si ritira dopo 4 giri. L’articolo a firma di Stefano Mancini:

“Altro successo, altra casella occupata. La geografia delle vittorie di Sebastian Vettel è un Risiko che va dall’Australia al Sud America attraverso Europa, Medio Oriente e Asia. Gli mancava la Germania. La sua Germania. Ieri ha rimediato senza troppa fatica, lasciando che gli avversari si smarrissero in strategie improbabili. Alla fine si conterà un suo unico sorpasso, quello al via su Lewis Hamilton che sabato gli aveva sfilato la pole position. Brividi pochi, giusto la rimonta finale di Raikkonen, che comunque non è mai arrivato a distanza di ingaggio. Trenta vittorie in carriera, 34 punti di vantaggio su Alonso, tre Mondiali vinti e il quarto che lo vede qualcosa in più che favorito: è l’erede perfetto di Michael Schumacher, ne ricorda le movenze e ne sta inseguendo i primati.”

Sua maestà Murray. Wimbledon torna british. Travolto Djokovic (6-4, 7-5, 6-4): trionfa un britannico 77 anni dopo Perry. L’articolo a firma di Stefano Semeraro:

“Mentre scalava la storia e le tribune di Wimbledon Andy Murray ha stretto la mano a John McEnroe e abbracciato Ivan Lendl, ma si stava dimenticando di mamma Judy. È stato un attimo, sospeso nel pomeriggio dorato che tutti i british aspettavano da 77 anni, poi da bravo figlio Andy lo scozzese è tornato sui suoi passi e l’ha stretta a lungo, mandando in estasi il Centre Court. Anche Novak Djokovic, il numero 1 del mondo appena battuto in tre set (6-4 7-5 6-4), ha sorriso, mentre Alex Salmond, il primo ministro scozzese già in fregola elettorale in vista del referendum indipendentista dell’anno prossimo, nel Royal Box sventolava scostumato la croce di Sant’Andrea alle spalle di David Cameron, il premier inglese evidentemente sollevato per aver smentito la sua fama di jettatore. Persino Fred Perry, l’ultimo britannico capace di vincere Wimbledon prima di Murray, nel lontanissimo 1936, da qualche parte nel cielo sopra Londra deve essersi fatto scappare una battuta: «Ben fatto, ragazzo. Ma perché non indossi le mie magliette?».”

Published by
FIlippo Limoncelli