
ROMA – “Beffa continua” scrive Libero, torna l’Imu: “La pagherà una famiglia su due”. “Batteranno cassa – scrive Sandro Iacometti – i Comuni con l’aliquota sopra il 4 per mille (circa 2.700): lo Stato coprirà solo il 60% della differenza”.
Ecco l’articolo su Libero:
Gira che ti rigira, la stangata è arrivata puntuale pure questa volta. La quota di extra gettito scaricata sui contribuenti scende dal 50 al 40%, ma le abitazioni coinvolte passano da3,5a 10milioni.Dopo due giorni di fibrillazioni governative e, si racconta, di pressanti ed insistenti richieste dell’Anci che avrebbero portato a piccole ma rilevantissime riscritture, il testo finale sull’Imu è arrivato. E le brutte sorprese non mancano. È bastata una parolina piazzata al posto giusto per trasformare il decreto per l’abolizione della seconda rata sulla prima casa in un altro appuntamento con l’erario. Gli importi sono minimi, ma la platea dei contribuenti colpiti si è allargata al punto da trascinare nuovamente nell’incubo Imu circa la metà dei contribuenti che hanno pagato il balzello nel 2012. Alla faccia degli impegni presi da Letta.
Tutto ruota intorno al meccanismo dell’extra gettito percepito dai comuni grazie all’aumento selvaggio delle aliquote. Secondo la versione circolata fino a ieri mattina, la cui fonte interpretativa proveniva direttamente dalle note ufficiali di Palazzo Chigi, il giochino della compartecipazione dei contribuenti al bottino aggiuntivo dei comuni avrebbe dovuto riguardare solo i nuovi incrementi deliberati dai Comuni nel corso del 2013. Un ragionamento logico e verosimile, considerato che i 2 miliardi messi sul piatto dal governo per abolire la prima rata includevano anche la quota di gettito generato nel 2012 dagli aumenti dei sindaci rispetto all’aliquota ordinaria sulla prima casa del 4 per mille. Nel testo finito in Gazzetta Ufficiale, però, si legge, art.1 comma 5, che la differenza di cui i cittadini dovranno farsi carico per il 40% riguarda tutti gli incrementi «deliberati o confermati per il 2013». Per essere più chiari, tutto quello che nell’anno in corso supera il 4 per mille dell’aliquota ordinaria, quand’anche fosse dovuto a ritocchi intervenuti nel 2012 e solo confermati nei mesi scorsi, finisce nel calderone della copertura in collaborazione tra Stato e contribuenti. I numeri contenuti nel testo non sono equivocabili. Le risorse complessive stanziate dall’esecutivo sono 2,164 miliardi. Di cui inizialmente verrano versati solo 1,7 miliardi, «pari alla metà dell’ammontare determinato applicando l’aliquota e la detrazione base». E infatti il gettito Imu del 2012 depurato dai rincari applicati dai sindaci era esattamente di 3,4 miliardi (sui 4 complessivi generati dall’imposta sulla prima casa). Solo successivamente, a febbraio, attraverso un decreto ministeriale, il governo salderà ai comuni una ulteriore somma di 348 milioni. Facendo due calcoli, la somma complessiva dell’extragettito dovrebbe ammontare a circa 570 milioni, di cui 228 (il 40%) verrà prelevato direttamente dalle tasche dei contribuenti. Sempre che i conti siano giusti. Messa così, infatti, sembrerebbe che il governo abbia stimato una quota di gettito aggiuntivo simile a quella del 2012. Previsione che però mal si concilia con il fattoche diverse centinaia di comuni hanno rincarato la dose anche nel 2013, facendo quindi aumentare la posta complessiva in gioco. Di sicuro c’è che la mossa in zona Cesarini del governo costringerà a passare di nuovo alla cassa un numero sterminato di contribuenti. Le stime preliminari parlano di circa 2.700 comuni.
Ipotesi che si basa sul fatto che già nel 2012 il 31% degli enti (2.525) ha aumentato le aliquote di base e che un numero consistente lo ha fatto quest’anno. Il tutto si traduce in una platea di circa 10 milioni di famiglie. Il che rappresenterebbe una beffa colossale, considerato che le prime case in Italia sono 20,3 milioni e che, grazie al meccanismo delledetrazioni, solo 17,9 milionidi cittadini hannodovuto pagareil balzellonel 2012.In altre parole, nell’anno della sbandierata ed annunciata abolizione dell’Imu sulla prima casa, il cui ultimo atto il governo ha voluto diabolicamente far coincidere con l’uscita di scena di Berlusconi, più di un ex pagatore del balzello dovrà riprendere in mano l’F24 e versare il suo obolo all’erario. La beffa nella beffa è che, grazie al combinato disposto dell’aumento delle aliquote e della compartecipazione al pagamento da parte dei contribuenti, tra i cittadini chiamati all’ap – puntamento con l’erario ci sarà anche chi nel 2012 la tassa non l’ha pagata affatto. L’ultima burla riguarda i tempi. Il versamento della vecchia Imu dovrà essere corrisposto entroil 16 gennaio,lo stesso giornoin cui arriverà anche l’acconto della nuova Tasi. Come ha detto il deputato di Scelta civica, Enrico Zanetti, «si può metterlain molti modi,ma lasostanza è una:si è lasciata aumentare l’Iva già a ottobre, si sono aumentati gli acconti delle imposte sul reddito fino a livelli imbarazzanti e alla fine non si è nemmeno riusciti a tenere fede alla stupida quanto solenne promessa di non fare pagare a nessuno la seconda rata Imu sulla prima casa».
Rata Imu per dieci milioni di italiani. L’articolo di Alessandro Barbera sulla Stampa:
All’inizio sembrava si trattasse di poche centinaia di Comuni. Ma l’approssimazione con cui il governo e il ministero del Tesoro hanno gestito la vicenda sta trasformando un sasso in una valanga. La realtà emerge in tutto il suo parossismo, al punto che ancora ieri sera molti sindaci di grandi città non ne erano al corrente: se non si cambia strada, il 16 gennaio saranno chiamati a pagare una frazione dell’Imu sulla prima casa dieci milioni di italiani. A Roma, Milano, Torino, Bologna, Genova, Napoli e altre 2.700 città.
La vicenda per sommi capi è questa: il decreto con cui il governo ha abolito la seconda rata dell’Imu prometteva di restituire ciò che i Comuni avrebbero dovuto riscuotere, salvo quelli in cui, incautamente, quest’anno erano state alzate le aliquote. Fin qui, un modo poco ortodosso di sanzionare i sindaci che, pur sapendo dell’imminente abolizione, speravano così di incassare dallo Stato anche l’aumento deliberato sulla carta nel 2013. Il governo, bontà sua, si è impegnato a coprire comunque il 60% di quanto dovuto, lasciando agli incauti cittadini l’onere di saldare il restante 40% entro il 16 gennaio. Peccato che il testo varato dal consiglio dei ministri non restituisca la differenza nemmeno ai Comuni – è il caso di Torino – che l’aumento l’avevano deliberato nel 2012.
Si dirà: i sindaci possono rinunciare a quell’ammontare. Più facile a dirsi che a farsi, poiché in molti casi i bilanci sono stati chiusi conteggiando fra le voci di entrata anche quei denari. Del resto in alcuni casi gli aumenti sono ragguardevoli: a Milano e Brescia (quest’anno) l’aliquota è stata alzata dal 4 al 6 per mille, a Bologna dal 4 al 5, a Torino (già dal 2012) si è saliti dal 4 al 5,75 per mille.
L’altra soluzione a questo pasticcio all’italiana è un passo indietro del governo: basterebbe un emendamento al decreto che ora passa alle Camere. A Palazzo Chigi se ne discute sin da ieri. Il sottosegretario Legnini non lo conferma ma nemmeno lo esclude: «Vedremo se trovare nuove risorse nel corso dell’esame parlamentare. Se riusciamo a coprire tutto, tanto meglio». Il problema è che nel frattempo la valanga potrebbe ingrossarsi ulteriormente, perché fino alla mezzanotte di oggi i Comuni che hanno deciso di attendere hanno tempo per convocare il consiglio che di qui a qualche giorno approverà i bilanci e molti sindaci, nel dubbio, stanno varando in extremis aumenti di aliquota. Se così fosse, quello che oggi è un ammanco potenziale di 500 milioni di euro potrebbe aumentare ulteriormente.
Insomma, il cerino che finora sembrava acceso fra le mani di poche centinaia di sindaci ora è una torcia nelle mani di Letta e Saccomanni. Per quanto l’ammontare medio di quel che andrà pagato è mediamente basso – dai pochi euro a un centinaio nel caso di Milano – siamo nel paradosso per il quale le famiglie più deboli che fino al 2012 erano esentate perché coperte dalla franchigia di 200 euro, ora si troverebbero costrette a pagare. «Questo decreto ha chiari ed evidenti profili di incostituzionalità», ammette senza giri di parole Angelo Rughetti, ex segretario generali dell’Anci e da quest’anno deputato del Partito democratico. Chi probabilmente non può sperare in un ripensamento sono coloro i quali vivono in un terreno agricolo e speravano così di non pagare la seconda rata Imu di quest’anno: il decreto precisa che l’esenzione vale per i soli coltivatori diretti e per i fabbricati «ad uso strumentale».
