L’incredibile vita di Bartolo, scopre chi è a 60 anni. Venziani, Il Giornale

L’incredibile vita di Bartolo, scopre chi è a 60 anni. Venziani, Il Giornale

ROMA – “Che dire di un uomo che ha vissuto una vita senza mai conoscere i suoi genitori – scrive Marcello Veneziani sul Giornale – e un giorno di primavera, a sessant’anni ormai compiuti, ritrova la sua famiglia e tanti fratelli che vissero la sua stes­sa sorte di abbandonati?”

Non riuscirò a raccontarvi la storia di Bar­tolo come se fossi un cronista, perché io Bar­tolo lo conosco da ragazzo, è uno dei miei amici più cari e parlando di lui non riesco, e non voglio, nascondere quel legame. Avevo quindici anni e lui diciassette quando ci trovammo a fondare il Fronte della Gio­ventù nel nostro Paese. Barto­lo- all’anagrafe Alfredo Solda­ni, per gli amici Martmé- lavo­rava in campagna con suo pa­dre, io ero studente. Una sera, dopo aver attaccato i manife­sti, ci raccontò che i suoi era­no genitori adottivi, non ave­va mai conosciu­to il suo vero pa­dre e la sua vera madre. Da adole­scente, quando seppe la verità, Bartolo scappò di casa. Martmé è una specie di In­diana Jones. Ha cambiato i mestie­ri più vari, era con­tadino ma si defi­niva scultore del­la zolla, era bersa­gliere e amava e pativa la velocità in ogni campo, anche sessua­le; da ragazzo andava in giro con una bomba a mano nel borsello, da usare in caso di emergenza difensiva. Dopo l’agricoltura diventò camio­nista di Tir, poi diventò skip­per di mestiere, poi non so co­s’altro e ora è tornato alla ter­ra, ma continua a navigare. Credo che gli manchi solo di fare la guida alpina, ma prima o poi lo farà. Una volta in aero­porto fece suonare l’allarme, ma erano i suoi stivali con gli speroni ferrati. Metteva alle­gria, Martimeo, col suo vivere avventuroso e il suo frasario fiorito; con le prostitute usa­va un linguaggio rigoroso da ginecologo. Era un ribelle, non amava i preti, forse si sen­tiva abbandonato dal Padre­terno e dalla Madonna. Ma credeva negli ideali, era un fa­ticatore e non era, come da noi si dice, una capa frecata .
Si avvertiva in lui un’inquietu­dine, come se una ferita san­guinasse dentro di lui. Sogna­va patagonie perché in realtà aspirava a trovare la strada di casa. A volte, quando ti nega­no le cose più vicine, ti rifugi nella lontananza. Ogni tanto Bartolo indagava sul mistero delle sue origini, una volta le­gò alla sedia la nonna per far­la parlare. Cercava di risalire da vaghe leggende e tracce al­lusive ai suoi genitori, ma sen­za frutto. Poi la vita lo distolse da quella ricerca. A vent’anni stava diventando padre e ma­rito, ma perse la sua ragazza e il figlio che aveva in grembo. Si rifece più volte la vita, ebbe figli, e da quando smettem­mo di frequentarci, periodica­mente riaffiora in altre vesti e sembianze. L’ultima volta aveva un codino bianco.
Ma un giorno di marzo, una donna lo rintracciò su Face­book , che è diventato il casel­lario universale, poi gli telefo­nò e, dopo alcuni giri di paro­le, si presentò come sua sorel­la. E gli raccontò tutto. Era riuscita a ricostruire la sto­ria della famiglia e a rintracciare gli altri fratelli. Suo padre, classe 1904, non volle mai riconoscere i suoi figli, ma sua madre accettò e continuò a sforna­re altri figli. Ne eb­bero tanti, si sono ritrovati in sei, ne hanno identifica­ti altri due, già morti. Uno di loro, Edoardo, l’avevamo conosciuto insie­me, Bartolo e io, e più volte in­contrato, perché militava a Bari nel Fronte. Col senno di poi ci siamo detti che gli somi­gliava. Vi risparmio altri in­trecci della storia, assai dolo­rosi. Si affollano i dubbi, ma­gari furono concepiti appo­sta per coppie che non poteva­no avere figli. Quando mi ha telefonato, Bartolo mi ha det­to stranamente che aveva scritto una poesia di due ri­ghe e io sono rimasto allibito per l’inedita vena. Un nuovo mestiere?Me l’ha letta al tele­fono. Diceva che quando smetti di sperare accadono straordinarie sorprese. E poi mi ha chiesto: secondo te co­sa vuol dire? Ho subito capito che parlava della sua storia, che c’era stata una sconvol­gente scoperta e riguardava la sua famiglia perduta e ritro­vata. Mentre parlava gli era accanto Lucio, «mio fratel­lo », mi ha detto con disinvol­tura, un fratello conosciuto solo da poche ore, dopo ses­sant’anni. Lo so che queste storie poi diventano il pane diprogrammi strappalacrime, non avrei mai pensato di car­rambare pure io, temo che si avventeranno su di loro per portarli in video. La storia, in effetti, val la pena di raccon­tarla e loro in fondo fanno il lo­ro mestiere. Ma io vi confesso che, pur essendo ormai un po’ anaffettivo, ho sentito un brivido correre lungo la schie­na mentre mi raccontava, mi sono commosso. Certo, le im­precazioni sui suoi genitori vengono spontanee e lui stes­so non le nasconde. Loro so­no morti ormai da svariati an­ni, come del resto i suoi geni­tori adottivi che non gli han­no mai fatto mancare l’affet­to. Ma quando la sorte ti bus­sa in quel modo e ti butta giù dal letto delle abitudini e ti fa ripassare velocemente la vita a ritroso, tappa su tappa, dal presente al passato remoto, all’adolescenza e all’infanzia e ti fa rimettere in discussio­ne quello che hai creduto, vis­suto, pensato finora, il ranco­re si spegne e muta in qualco­sa di strano. Qualcosa che ti sconvolge e ti fa rinascere alla tua stessa vita. C’è una sorte peggiore che avere un pessi­mo padre: non sapere chi sia, né lui né tua madre. E dunque ritrovarli, seppure in memo­ria, è sempre meglio che fini­re la vita senza saperlo. Erano come erano, ma restano tuo padre e tua madre.
E poi la tenerezza struggen­te dell’incontro con sua sorel­la, coi suoi fratelli, «tutte per­sone squisite», mi dice Barto­lo usando ancora un linguag­gio che si addice agli estranei. E la meraviglia di scoprire in persone sconosciute i tuoi consorti più intimi… È troppo tardi per odiare e non è mai troppo tardi per amare. La vi­ta alle volte ti riserva vere sor­prese pasquali. Mi sento fu­matore passivo di felicità per aver raccontato la sua storia a voi e a lui, che è ancora incre­dulo e adesso vuole che gliela racconti io. A volte la vita ti re­stituisce d’un colpo, a ses­sant’anni, lo stupore di esse­re al mondo. Una Pasqua co­sì, Martmé non se l’aspetta­va. Val la pena vivere già solo per questi miracolosi agguati della sorte. 

Published by
Gianluca Pace