
ROMA – La smentita a prescindere diventa il premio del bullo sociale. Prima l’ingiuria scappa, poi prontamente viene invocato il diritto alla smentita, scrive Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera. E se il cronista e il giornalista rischiano querela, giustamente, nel caso di ingiurie, per i politici e gli altri “bulli”, scrive Stella, chiedere scusa e smentire è sufficiente.
Stella scrive sul Corriere della Sera:
“«Gasparri è trans?» Se osassimo lanciare sul serio una domanda simile, che buttiamo lì solo per una forzatura polemica (alla larga da queste fanghiglie!) il senatore forzista darebbe querela. Giustamente. Potremmo rispondere, come ha fatto lui prima di scusarsi dopo le malignità su Greta e Vanessa, che ci sono decine di siti che maramaldeggiano malevole su una sua vecchia battuta di spirito. E lui, a ragione, ci rinfaccerebbe che un giornale serio non raccoglie web-pettegolezzi.
C’è però una differenza: lui, per il suo tweet indecoroso sulle ragazze sequestrate in Siria, potrà invocare se denunciato l’«insindacabilità parlamentare» che ha già salvato troppi deputati e senatori incontinenti nell’ingiuria. Un giornale no. Anzi: anche la nuova legge già passata in Senato e ora in discussione alla Camera e spacciata come un’apertura alla libertà di critica perché sopprime il carcere per i cronisti (come chiedeva l’Europa) non consente di citare a sostegno alcuna «verità» pubblicata da altri”.
E intanto mentre si proclama la libertà di stampa al grido di “Je suis Charlie”, continua Stella, gli stessi parlamentari votano la nuova legge bavaglio:
“Volete un esempio? Massimo Marino De Caro, messo da Giancarlo Galan alla direzione della biblioteca dei Girolamini, da lui saccheggiata, reagì alle accuse d’aver barato sulla sua laurea (falsa), sulla docenza universitaria a Verona (falsa) e sulla discendenza dai principi di Lampedusa (falsa) minacciando fuoco e fiamme. Tanto più per le denunce, mosse per primo da Tomaso Montanari, di movimenti notturni di camioncini che portavano via volumi di valore inestimabile.
È stato condannato in primo e secondo grado a sette anni di carcere. Ma il giorno dopo la pubblicazione del primo articolo sul Corriere, al quale reagì con raffiche di telefonate sdegnate e la minaccia («ho incaricato lo studio legale Previti di sporgere querela») di cause giudiziarie, avrebbe avuto diritto con la legge nuova a vedersi pubblicare una lettera sana sana, senza contraddittorio, dove poter ribadire tutte le frottole smentite dall’università di Siena, da quella di Verona, dal vero principe di Lampedusa, dalle prime indagini giudiziarie…”.
Se la legge sarà approvata, pubblicare una rettifica non sarà più sufficiente, spiega a Stella l’avvocato Caterina Malavenda, esperta di diritto dell’informazione:
“«dovrà farlo anche “senza commento, senza risposta e senza titolo”, indicando perfino il nome del giornalista “rettificato”». Anche se quel giornalista avesse totalmente ragione. E lo potesse dimostrare carte alla mano.
Ma davvero, davanti a casi così, c’è chi in Parlamento, per dispetto verso certi giornali, certe inchieste, certi articoli fastidiosi o magari spesso anche sbagliati, se la sente di votare una regola che avrebbe consentito furenti smentite senza repliche al senatore Nicola Di Girolamo poi costretto alle dimissioni e condannato a cinque anni per riciclaggio e con lui a frotte di «colletti bianchi» colpiti da sentenze spesso pesantissime dopo aver vantato la loro rispettabilità?”.