ROMA – La libreria più originale “è a Venezia e non a caso si chiama Acqua Alta: quando la marea cresce una delle sale si allaga”. Il negozio di libri più spettacolare “è La Barter Books di Alnwick in Inghilterra, una suggestiva stazione ferroviaria in stile vittoriano riconvertita in un grandioso punto vendita”.
Jorge Carrión, docente all’università di Barcellona, autore di “Librerie. Storia di commercio e di passioni”, è uno dei massimi esperti mondiali di librerie. Questa l’intervista di Mirella Serri per la Stampa.
Professor Carrión, il suo fantastico repertorio, che spazia dai racconti alle poesie, ai film e agli spettacoli che si svolgono all’ombra gli scaffali, sembra un po’ il canto del cigno: questa apoteosi si celebra nel momento in cui la minaccia digitale mette a rischio la sopravvivenza dei nostri «sacri» negozi letterari che Stefan Zweig, Jorge Luis Borges, Roberto Bolaño e tanti altri hanno messo al centro di novelle e romanzi? «Non condivido le previsioni apocalittiche. La scomparsa delle librerie avverrà molto lentamente, forse nell’arco di secoli, riservandoci pure parecchie belle sorprese. Amazon cerca di nobilitare il suo commercio, esteso dalle scarpe ai giocattoli, infilandoci dentro i libri. Però l’avanzare della cultura digitale non è necessariamente un passo indietro, anzi: tutto quello che da sempre è patrimonio di eletti può allargare il suo raggio di azione grazie anche alla diffusione delle vendite virtuali».
Dal Settecento in poi si andava nei locali pieni di tomi non solo per acquistare ma anche per chiacchierare, per incontrare «colleghi» e personalità connotate da affinità elettive: Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald, André Gide, James Joyce si scambiarono idee, fecero amicizia e affari nella Maison des Amis des Livres o nella Shakespeare and Company nata nel 1919, per arrivare agli anni Cinquanta con la leggendaria City Lights di San Francisco, fondata da Ferlinghetti e dove approdò tutta la beat generation. Adesso, oltre che a far acquisti, a cosa servono le librerie? «Funzionano ancora come ambienti di socializzazione. La sontuosa Rosario Castellanos di Città del Messico, ristrutturata da Teodoro González de León, è una bianca e abbacinante cattedrale di libri con il soffitto decorato da motivi floreali: oggi però è anche una cafebrería per riunioni d’affari, corsi, eventi vari. La londinese Foyles – il labirinto librario più grande del mondo – ebbe la trovata delle colazioni letterarie e, a partire dal 1930, vi hanno pranzato mezzo milione di lettori e più di mille autori, da T. S. Eliot a John Lennon. Si ritorna così alla tradizione per cui si prendeva il tè, si scambiavano opinioni e si ascoltava pure la musica nei più antichi locali d’Europa, inclusi quelli italiani, dalla Bozzi di Genova, nata nel 1810, alla Luxemburg di Torino fondata nel 1872».
Il suo libraio ideale? «Un padrone di casa capace di intuire i desideri del cliente dal suo modo di comportarsi anche se non è in grado di formulare richieste chiare. Per farsi le ossa nel mestiere è valido il suggerimento di uno dei grandi maestri del settore, Romano Montroni: solo spolverando s’impara. Non è un paradosso né una diminutio: il libraio si trova così ad avere un rapporto fisico, a scoprire, ad apprezzare e memorizzare l’oggetto-volume». Per la raccolta di casa, cosa suggerisce? «Sono vissuto in un appartamento senza libri ma mio padre, dopo una giornata di lavoro, si occupava del Círculo de Lectores e spesso i clienti non avevano i soldi per pagare. E’ valida la notazione di Aby Warburg per cui affetto e memoria sono strettamente collegati. Vicino alla mia scrivania ho le opere degli scrittori preferiti: David Grossman, Julio Cortázar, Borges, García Lorca e Winfried Sebald. Tanto più li amiamo tanto più ricordiamo la collocazione dei nostri libri».