ROMA – Riforme e lavoro, sfida di Renzi. Il Corriere della Sera: “Renzi parla per la prima volta da segretario pd in carica. Lo fa davanti al premier Letta e dà la sua agenda al governo: contenuti e tempi. Ribadisce che la legge elettorale è la priorità e offre a Grillo di partecipare alla sua scrittura e a quella delle riforme in cambio della rinuncia ai soldi del finanziamento pubblico. Se declina, si rivelerà «un buffone». La risposta: niente dialogo.”
Un patto di 15 mesi con Letta. E Renzi sfida il «buffone» Grillo. L’articolo a firma di Andrea Senesi:
“Arriva trascinando il suo trolley, come un delegato qualunque. Fuori ci sono le torri della Milano che verrà e dentro una folla entusiasta, un partito che fino a un anno fa lo considerava un corpo estraneo e che ora lo acclama come un salvatore. Matteo Renzi è il nuovo re del Pd, incoronato dal voto del «popolo», l’ultima speranza dopo una serie di fallimenti, come si sente ripetere nel salone del centro congressi della Fiera. L’uomo della Leopolda ora può dettare l’agenda al governo Letta, di cui è azionista di (larga) maggioranza, imporre al premier un patto con tanto di date e scadenze e insieme sfidare a viso aperto il più insidioso degli sfidanti, Beppe Grillo e la sua «antipolitica».
L’accordo sui tempi – Quindici mesi per le riforme, perché «se il governo avrà risultati balbettanti le responsabilità ricadranno tutte sul Pd». Un patto a viso aperto, alla tedesca, voce per voce. Da qui al semestre europeo, da qui all’Expo. Il premier — tenuta casual, maglione blu e sneakers ai piedi — parla prima di Matteo e al nuovo segretario rivolge quasi una supplica: tra me e te basta retroscena. Tutto deve avvenire alla luce del sole. «L’Italia ce la farà se il Pd ce la farà, uniti non ci batte nessuno». Letta raccoglierà però l’applauso più convinto dai mille e più delegati quando attaccherà i Forconi, i toni antisemiti e le infiltrazioni di Casa Pound nella protesta.”
«Guardiamoci negli occhi» Ma è competizione continua tra due leader troppo diversi. L’articolo a firma di Aldo Cazzullo:
In un minuto, cronometrato, il neosegretario consulta il telefonino, beve acqua naturale da una bottiglietta tipo ciclista in salita, ondeggia sulla sedia, si tocca il volto, si gira a destra a dire una cosa nell’orecchio alla Madia, si passa una mano tra i capelli, guarda di nuovo il cellulare, dà il cinque a Pittella, si volta a cercare i toscani che sta per insediare al vertice del partito — dov’è Lotti? dov’è Bonifazi? dov’è la Boschi? —, scrive una correzione al testo del discorso, guarda l’orologio, poi di nuovo il cellulare.
Nello stesso minuto, il premier rimane fermo, le braccia incrociate, le gambe accavallate. A un certo punto si anima per applaudire Epifani. Poi torna a braccia conserte.
Oggi si sono pure scambiati il look: Renzi per una volta in giacca e cravatta, Letta per una volta in maglioncino azzurro. «Hanno due caratteri troppo diversi per prendersi» sostiene un ministro che li conosce bene. Spesso però un temperamento inquieto è attratto da un temperamento imperturbabile, e viceversa. Sono proprio le due nature ad apparire inconciliabili. Forse anche i loro interessi. «Ma no!» sbotta Franceschini, «Matteo ha tutta la convenienza ad appoggiare Enrico: se il governo va male, alle Europee il Pd andrà male; se in questi mesi riusciamo ad abolire il Senato e a fare una legge maggioritaria, Matteo avrà un’autostrada davanti». Resta il fatto che, come nota Epifani, «Renzi oggi ha alzato l’asticella».
Le mosse per cambiare tutto e subito. La legge elettorale diventa una mina. L’articolo a firma di Maria Teresa Meli:
E’ la versione renziana dello «Stay hungry. Stay foolish» di Steve Jobs: «Restiamo sempre ribelli», dice dal palco il segretario. E lui ci mette del suo per far capire che «non» è «cambiato»: «Sono quello di sempre. Dico quello che penso».
Ma in questa giornata anche le omissioni del leader hanno un loro peso. Non c’è Assemblea o Convegno del Pd in cui il segretario nella sua relazione non dedichi il dovuto omaggio al capo dello Stato. Matteo Renzi non lo ha fatto. Non ha mai nominato nel suo intervento Giorgio Napolitano. Dimenticanza? Scarsa abitudine ai riti della politica? Chissà. Fatto sta che la cosa é stata notata da tutti quelli che temono che il ciclone renziano possa abbattersi sul governo. Formalmente i rapporti con il premier sono ottimi. Baci, abbracci e critiche congiunte ai giornalisti. Però poi quando il segretario sale sul palco dice chiaro e tondo davanti a Letta: «Le sorti dell’Italia sono nelle mani del presidente del Consiglio, del governo, ma soprattutto del Pd: o la partita la giochiamo noi o non la gioca nessuno».
Non è che siano parole tanto diverse da quelle che Renzi pronuncia in privato: «Il governo è nelle nostre mani, quindi è responsabilità nostra fare le cose. O sfruttiamo questi mesi velocemente o rimaniamo impantanati. Tutti devono capire che stavolta si cambia sul serio, che scardiniamo il vecchio mondo. Reagiranno per paura? E noi andremo avanti lo stesso». Tanta determinazione mette in allarme i lettiani, i quali, e anche questo non può essere un caso, sono stati decimati in direzione dai renziani.
La tv fa il pieno di sfiducia fuga degli italiani da talk e tg anche la satira non diverte più. La Repubblica: “Indagine Demos-Coop: il Paese deluso si rifugia nei social network”. L’articolo a firma di Ilvo Diamanti:
Gli italiani continuano a informarsi, in larga maggioranza, seguendo la tivù. Anche se ne hanno sempre meno fiducia e usano, in misura crescente, la Rete. Perché la considerano il canale più libero e indipendente. E permette loro di informarsi navigando tra diversi media. È il ritratto che si scorge scorrendo i risultati della VII Indagine di Demos-Coop su “Gli italiani e l’informazione”. Otto persone su dieci, infatti, affermano di informarsi quotidianamente in televisione, il 47% suInternet.
Sei anni fa, coloro che utilizzavano Internet erano poco più della metà (25%), mentre il seguito della tv era più elevato di 7 punti. Si tratta di una tendenza chiara, precisata dalla tenuta della radio (circa il 40%) e dalla riduzione significativa dei giornali. Oggi, sostanzialmente sullo stesso livello di un anno fa (25%), ma in calo di 5 punti rispetto al 2007. La popolazione italiana, dunque, si serve sempre più e sempre più spesso della Rete, come fonte di informazione diretta, ma anche per accedere ad altri media, in particolare i giornali. Due navigatori di Internet su tre (e quasi metà sulla popolazione intervistata) affermano, infatti, di leggere regolarmente i quotidiani online. Reciprocamente, i giornali (e i notiziari radio-tv) si connettono alla Rete, attraverso edizioni online e digitalizzate. Inoltre, utilizzano i Social Network, in particolare Twitter, come canale diretto con i leader e gli opinion maker.
Questa evoluzione è favorita dalla rapida diffusione delle tecnologie di comunicazione. Nell’ultimo anno, non a caso, la quota di coloro che si collegano a Internet mediante i cellulari oppure i tablet è cresciuta sensibilmente. Di 20 punti: dal 37% al 57%.
Tuttavia, la tv resta ancora, digran lunga, il riferimento più frequentato. Come si è visto alle ultime elezioni politiche. Le più “televisive” della storia, nonostante la diffusione della Rete.
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Fondi per esodati, polizia, bebè Stabilità, più tempo alla mini Imu. Seconde case verso un rincaro. L’articolo di Repubblica a firma di Valentina Conte:
Notte di votazioni in commissione Bilancio della Camera. Al centro della sessione, gli articoli della legge di Stabilità sulla casa e le sue imposte, vecchie e nuove. Un emendamento, depositato ieri dal relatore del provvedimento Maino Marchi (Pd), sposta al 24 gennaio la data per pagare la mini-Imu. Si prende tempo, in attesa di capire se sarà possibile detrarre questa coda dell’imposta dalla nuova Iuc, che invece dovrebbe partire il 16 gennaio. Di sicuro, le aliquote della Tasi saliranno. Più probabile quelle sulla seconda casa (il tetto con l’Imu verrebbe portato all’11,6 per mille dal 10,6). Meno probabile un aggravio per le prime abitazioni. Ma sidiscute ancora. E si vota ad oltranza perché il testo della legge arrivi in aula martedì.
Ieri il governo ha depositato i suoi 35 emendamenti e il relatore altri 20. Nel pacchetto dell’esecutivo finiscono alcune norme importanti sul cuneo fiscale, gli stadi, un fondo per i “nuovi nati”, la salvaguardia di altri 17 mila esodati (950 milioni stanziati fino al 2020), l’Inps (il “buco” Inpdap viene ripianato contabilmente). Mentre il relatore firma la sanatoria dei canoni demaniali pregressi dovuti dai balneari. Come anticipato da Repubblica, non si parla più di privatizzazioni delle spiagge. Né di cubature extra per chi realizzerà nuovi impianti sportivi. Non a caso il mondo del calcio ieri era in fibrillazione. «Mi auguro che in commissione si rifletta sui danni che la legge così concepita crea. È addirittura restrittiva», dice per tutti Claudio Lotito, presidente della Lazio. Per Maurizio Beretta, presidente della Lega di Serie A, l’emendamento «peggiora la normativa esistente ». Alla fine si è scelto il “modello inglese”: no a nuovi quartieri, ma possibilità di esercizi commerciali, solo «nei casi in cui ciòrisulti strettamente necessario ai fini dell’equilibrio economico- finanziario del progetto», si legge nella relazione tecnica.
La marcia su Roma spacca i forconi lite tra i leader e scambi di accuse “In piazza rischio di infiltrazioni”. L’articolo di Repubblica a firma di Paolo Griseri:
Grande è il disordine tra i forconi. Al termine di una settimana che li ha visti protagonisti, i colonnelli del movimento si dividono ufficialmente mentre tornano a circolare sulla rete farneticanti comunicati che invocano la consegna del potere all’esercito.
Il siciliano Mariano Ferro e il veneto Lucio Chiavegato rompono con il laziale Danilo Calvani. Ferro e Chiavegato insieme ad altri sette responsabili di comitati locali firmano a metà pomeriggio una nota durissima in cui si afferma che «la manifestazione indetta per il giorno 18 dicembre a Roma non è più da noi riconosciuta per motivi di organizzazione e di ordine pubblico ». Ferro e Chiavegato invitano «a rinforzare i presidi sul territorio » e promettono di organizzare«una grande manifestazione» nella Capitale dopo il 18 dicembre ma comunque entro questa settimana. A provocare la scissione, il rischio che i comitati non siano in grado di controllare l’ala dura dell’estrema destra che presumibilmente parteciperà alla manifestazione romana indetta per dopodomani in piazza del Popolo.
Ma il vero nodo su cui si sta consumando la rottura è quello dell’atteggiamento verso i politici e i palazzi del potere. Nei giorni scorsi Calvani aveva dichiarato che obiettivo del movimento «è quello di far cadere il governo », e che per questo motivo non si sarebbe mai seduto a trattare con i ministri di Letta. «Se il governo ha delle soluzioni, le dia. Credo che non sia così, ma non voglio dare la possibilità a Letta di dire che siamo solo dei facinorosi », è invece la linea, opposta, di Mariano Ferro. Il leader siciliano aggiunge: «Sarà meglio evitare la manifestazione di mercoledì. C’è il rischio di infiltrazione e l’aria è pesante».
La disponibilità a trattare con il governo viene considerata dal dall’ala dura la dimostrazionedell’esistenza di un secondo fine: la possibilità che la “Life”, l’associazione dei “Liberi imprenditori federalisti europei” del veneto Chiavegato si possa trasformare in partito per presentarsi alle prossime europee. La “Life” aveva fatto parlare di sé quindici anni fa, perché, tra glialtri obiettivi, si proponeva di «difendere gli imprenditori del Nord da Equitalia e dalla Guardia di Finanza». Come? «Andando dai signori che lavorano per Equitalia a battergli una mano sulla spalla dicendo: “Non importa se fai solo il tuo lavoro per conto di un’agenzia infame. Evita di farlo e cercati un lavoro onesto” ». “Life” è parte di quella variegata galassia di delusi dalla Lega che è confluita nel movimento dei forconi e che ora potrebbe allargarsi al Sud includendo la costola siciliana di Ferro.
Calvani sembra invece orientato a seguire una linea più vicina alla tradizione grillina: con gli attuali partiti non si tratta. Il rischio, sostengono i suoi antagonisti è che per raggiungere l’obiettivo finisca per allearsi con l’estrema destra della Capitale. Sembrerebbe confermare questi timori una serie di farneticanti comunicati che circola in rete e che vorrebbe far coincidere la manifestazione del 18 dicembre con quel golpe vaneggiato più volte. Ci sarebbe anche il luogo del pronunciamento, il teatro Capranichetta, dove «verrà firmato il documento di sovranità popolare e di illegittimità del governo », che «prevede la collaborazione delle forze armate».