ROMA – “La sagra dello scaricabarile” la definisce Libero, le raccolte fondi di Dawa, l’associazione a conduzione quasi famigliare fondata dal ministro dell’Integrazione Cécile Kyenge e diretta dalla stessa sino all’aprile, si sono trasformate in sagre, “sagre dello scaricabarile”.
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Tutto inizia domenica scorsa (10 novembre) quando Libero pubblica le accuse e i sospetti di alcuni ex volontari su una missione in Congo del 2007, organizzata da Kyenge e a cui parteciparono 12 persone, tra medici e infermieri. Adesso nessuno risponde alle accuse di Libero, secondo alcune testimonianze raccolte dal giornale di Belpietro “l’attività dell’associazione si sarebbe esaurita in cene e visite a pagamento nel Paese africano”.
Ecco l’articolo di Libero:
Un dubbio ci assale: perché nessuno vuole parlare della missione di quella piccola comitiva che volò a Lubumbashi e, da qui, risalì sino al villaggio dove Kikoko Kyenge, padre del ministro, è capotribù? Mistero. L’unica certezza è che secondo alcuni partecipanti quel viaggio sarebbe stato un disastro.
«Eravamo partiti pensando di andare ad avviare un nuovo poliambulatorio e invece ci siamo trovati di fronte a un disastro sia organizzativo che igienico» ha spiegato a Libero Manuela P., una delle infermiere ingaggiate per l’impresa da Kyenge. Oggi la donna di quella trasferta ricorda solo la sporcizia in cui venivano fatte partorire le donne, all’interno di un disastrato locale di proprietà dei Kyenge. In quei giorni il ministro scese in veste di medico oculista e secondo alcuni testimoni avrebbe chiesto la parcella ai pazienti. «Non si devono abituare ad avere tutto gratis» si sarebbe giustificata. Però adesso su quella vecchia storia e sulle critiche dei suoi compagni di viaggio preferisce sorvolare. «Non è accettabile una risposta puerile come quella che Kyenge ha dato ai giornalisti» protesta Zeffirino Irali, il consigliere comunale di Progetto Reggio che ha raccolto le testimonianza rilanciate da Libero. «È come se l’essere diventato ministro la esonerasse dal dare risposte ai cittadini sui suoi comportamenti del passato. Ma non è così. Non può glissare sui punti oscuri di questa vicenda. Particolarmente scivolosa viste le testimonianze precise, dirette e circostanziate di persone che la conoscono personalmente da anni e che hanno collaborato con lei con entusiasmo». Il consigliere Irali è davvero battagliero: «Non è possibile che non si possa sapere dalla sua viva voce che fine abbiano fatto i fondi raccolti per un ospedale e se quella struttura sia stata realizzata o meno. Anche perché la sua associazione ha realizzato in Italia diverse cene di finanziamento: è così assurdo chiedere di sapere a che cosa sia servito quel denaro?».
Irali annuncia infine che non si fermerà sino a quando non avrà avuto le risposte che cerca: «Le onlus come Dawa possono incassare il 5 per mille e i versamenti agevolati dalle imprese. Però non hanno obbligo di presentare bilanci o rendiconti economici e nessuno controlla niente. Per questo la mia indagine non si ferma qui»