ROMA – Palazzo Chigi parla di “rimodulazione” delle imposte: in realtà le vuole alzare sui titoli di Stato. E Maria Cannata boccia l’idea: vantaggi minimi, possibili danni.
Scrive Davide Giacalone su Libero:
Il modo è sbagliato, ma la sostanza di più. Ancor peggiore la correzione. Sotto la voce «rimodulazione » le patrimoniali sulla casa sono state solo ridenominate e aumentate. Graziano Delrio è il più stretto collaboratore istituzionale del presidente del Consiglio (sottosegretario alla presidenza, quindi segretario del Consiglio dei ministri), il politico più vicino a segretario del Partito democratico, nonché amico di Matteo Renzi. Lo avvolge e circonda, essendone avvolto e circondato.Delle sue parole sulla maggiore tassazione dei titoli del debito pubblico – goffamente smentite ieri ma in realtà confermate dalla vaghezza dello stesso Renzi – colpisce l’irrituali – tà istituzionale (il governo non aveva ancora esposto il proprio programma), la scortesia nei confronti del ministro dell’eco – nomia (in quel momento neanche tornato in Italia) e l’incoscienza politica. Ma deve colpire, prima di tutto, il profondo errore da cui discendono.
La fonte dell’errore è la seguente: le rendite finanziarie sono tassate meno che in altre lande d’Europa. In realtà sono tassate meno della media europea, ma già più che in altri Paesi europei. Inoltre alla tassazione degli utili si deve aggiungere la patrimonialedel 2 per mille,cheogni anno paghiamo non sugli utili, ma sul depositato o investito. L’errore più grosso consiste nel giocare con le medie: la pressione fiscale totale è, da noi, superiore alla media Ue, se andiamo a prendere gli anfratti in cui siamo sotto e li alziamo non facciamo che peggiorare la situazione, impoverendoci sempre più. Il ragionamento, quindi, è bacato all’origine. Ma, sostengono a Palazzo Chigi, per questo vogliamo «rimodulare». Vediamo perché farlo sui titoli del debito pubblico è tafazzismo scientifico.
Siamo entrati nella crisi con un debito pubblico troppo alto e sproporzionato rispetto a quello degli altri europei. Ci ritroviamo, dopo la cura del tassa e copri, con un debito ancora più alto, ma non più sproporzionato, perché quello degli altri è cresciuto molto più del nostro. A questo si aggiunga il vantaggio che il 65% del debito è collocato dentro i confini nazionali, il 10% presso le famiglie e i risparmiatori. A questa gente si dovrebbe fare un monumento, non tassarli. Paghiamo, ogni anno, più di 80 miliardi di interessi sul debito pubblico. Se ci mettiamo a tassare i relativi titoli ne recuperiamo un gettito di 2 o 3 miliardi (dipende da quanto li si tassa). Solo che all’asta successiva gli investitori vorranno essere remunerati del costo, sicché chiederanno interessi più alti. Ci vuole della fantasia, per supporre che tale via porti altrove che non alla perdizione.
La durata media dei titoli del nostro debito pubblico è di 6,5 anni. Troppo corta, creandoci affanno nel rinnovo e impossibilità di praticare politiche di ripresa. Accanto all’abbattimento del debito,mediante dismissioni di patrimonio pubblico, e taglio della spesa pubblica (stiamo ancora aspettando di saper il cosa, il come e il quanto), occorrerebbe una vasta operazione di allungamento temporale del debito. È possibile farlo. In tal senso esiste una proposta, più volte esposta, elaborata sotto la guida del prof. Paolo Savona. Lo strumento fiscale può ben essere utilizzato, ma nel senso opposto a quello immaginato da Delrio: per facilitare e alleggerire, non complicare e appesantire (…)