ROMA – “Diciamolo chiaro – scrive Goffredo Buccini del Corriere della Sera – nulla è stato più anticipato, annunciato e sbandierato sui media dei prodromi dell’inchiesta che da giorni sfigura la Capitale d’Italia. Paginate di quotidiani, speciali televisivi, libri d’indagine, una vera e propria fioritura pubblicistica attorno al degrado della cosa pubblica romana, alla Banda della Magliana versione XXI secolo, alla connessione tra criminali e neofascisti, alla guerra tribale tra correnti del Pd, agli appalti sospetti, alla pessima gestione di campi rom e immigrati. Centrodestra e centrosinistra hanno risposto all’unisono con un assordante silenzio di tomba, facendo finta di nulla. Fino all’arrivo del procuratore Pignatone e dei suoi pm”.
L’articolo di Goffredo Buccini:
Come sempre. Va così da più di vent’anni ormai, dall’alba di Mani pulite a Milano, preannunciata da lunghe stagioni di denunce inascoltate (e perfino di barzellette) sulle malefatte dei ras della Prima Repubblica. In Italia la politica non aveva e non ha l’autorevolezza o la volontà per riformare se stessa e, di fronte a mariuoli o criminali doc, quando non è complice, guarda altrove, nell’attesa che i magistrati arrivino, inevitabili come un monsone.
Salvo accusare poi i magistrati medesimi di invasione di campo: un copione prevedibile e nauseante di supplenza democratica che rischia alla lunga di ammazzare la democrazia stessa; perché una supplenza così prolungata finisce per avere effetti distorsivi anche sui magistrati, sempre più tentati dal farsi direttamente parte politica in nome di una vera o presunta palingenesi morale; con casi clamorosi, come il cambio di casacca di Tonino Di Pietro, o più modesti, come quelli degli epigoni Ingroia e de Magistris. I procuratori più saggi e più avvertiti non possono non sentire sulle spalle questo pericoloso fardello.
Dunque il Pignatone che, appena alla vigilia del blitz di Mafia Capitale, va all’assemblea romana del Pd a rampognare la platea sui patti tra mafiosi e corrotti, assume, col senno di poi, tutt’altra valenza. Come, più di vent’anni dopo, è forse il caso di rileggere una frase famosa di Saverio Borrelli a pochi mesi dalle elezioni del 1994: «Chi ha scheletri nell’armadio si faccia da parte». Ciò che sembrava arrogante diktat assume i contorni di un grido di dolore da cittadino: il cittadino Borrelli, allora, il cittadino Pignatone, adesso, di fronte al collasso dell’etica pubblica.
Il racconto quotidiano era, è, sotto gli occhi di ciascuno. Una puntata di Report anticipava, ad aprile 2013, molti dei punti salienti dell’inchiesta Mafia Capitale. Gli articoli di Lirio Abbate sull’ Espresso si erano attirati da tempo le pericolose attenzioni di Carminati. Il nostro Alessandro Capponi aveva raccontato da un pezzo un certo riflesso consociativo del centrosinistra romano costato a Umberto Marroni, capogruppo pd nel Campidoglio di Alemanno, il perfido soprannome di «delegato del sindaco all’opposizione» (citato nelle intercettazioni del clan, Marroni non è tuttavia indagato). Alle primarie democratiche per il candidato sindaco (poi vinte da Marino) la dirigente regionale Cristiana Alicata aveva denunciato su Facebook file di rom pagati ai seggi. I compagni di partito l’avevano zittita con l’epiteto di «razzista»: perché il Pd romano si abbeverava magari alla sapienza di Buzzi ma, perbacco, sul politicamente corretto non ha mai perso un colpo.