Manifesto degli ex mariti: “Trattati come delinquenti”

Manifesto degli ex mariti: “Trattati come delinquenti”

ROMA – “Trattati come delinquenti” il Giornale (il quotidiano di proprietà del fratello di Silvio Berlusconi, reduce da una costosissima separazione) presenta il manifesto degli ex mariti: “Nelle separazioni, la giustizia tutela comunque la donna ma l’uomo perde ogni diritto”.

L’articolo di Angelo Mellone:

In Italia si tende a trasforma­re qualsiasi problema in «allarme».C’è solo un allar­me che non viene riconosciuto come problema: il destino del­la gran maggioranza degli uo­mini separati. Un esercito di quattro milioni di persone, otto­cen­tomila dei quali già colloca­ti al di sotto della soglia di pover­tà; un esercito destinato a cre­scere, se è vero che il numero delle separazioni disegna una curva costante di crescita anno dopo anno.
Nulla ci vieta di immaginare che tra qualche anno arrivere­mo a otto o dieci milioni di indi­vidui, che ogni tanto vengono presi in considerazione con un bonario patetismo ma ai quali finora non è stata offerta – se non in rare eccezioni – risposta alcuna al dramma che molti, troppi di loro consumano in vi­te trasformate nell’apoteosi ne­ra della precarietà. Lasciamo stare i casi estremi, come le be­stie che abusano o uccidono le loro donne e che, giustamente, divengono oggetto di misure re­pressive crescenti e di pari at­tenzione mediatica. No, stia­mo parlando di uomini che si separano dalle loro ex-dolci­metà semplicemente perché è finito l’amore, perché un rap­porto è chiuso, perché si è con­sumata quella fiamma che ha dato a marito e moglie l’energia per sposarsi e metter su fami­glia. Gente normale, insomma. Ecco, questa gente normale, questi uomini, devono affronta­re e provare a superare una se­quenza di due prove durissi­me. In primo luogo, in virtù di una legislazione sulle separa­zioni che – a parte i piccoli maquillage normativi degli ulti­mi anni – è clamorosamente sbilanciata a favore della don­na e applicata con ulteriori sbi­lanciamenti, si tratta di perso­ne che in un battibaleno perdo­no casa, affetti, patrimonio, si­curezze, e si ritrovano a dover gestire la loro nuova vita in una dimensione per cui la libertà di­venta un fantasma da combat­tere con quattro spiccioli in ta­sca e non una nuova opportuni­tà. Un uomo separato, per esempio, viene mandato via di casa come un reprobo, viene privato degli elementi essenzia­li­di un’esistenza decorosa sen­za che abbia commesso reato al­cuno: non picchiava la moglie, non si è giocato l’appartamen­to in una bisca. Niente, nulla di tutto questo.
Ma nel nostro immaginario sociale ancora sopravvive l’idea –e qui scatta una terribile inversione del concetto di pari opportunità – che, quando un rapporto finisce, è quasi sem­pre l’uomo il colpevole e, dun­que, è lui che deve pagare, è lui che deve sobbarcarsi i costi del fallimento di una coppia. È lui, insomma, che deve tenere bot­ta. La donna, in questo caso, è superprotetta. Ciascuno di noi, senza scendere nel melodram­ma, conosce decine di storie di brava gente, che magari ha dei lavori anche ben retribuiti, ma che viene costretta ad accomo­darsi in bugigattoli, dormire sul divano degli amici o, quan­do è possibile, tornare a casa dei genitori perché non ha la possibilità di prendersi un’abi­tazione decente, e poco impor­ta se la normativa pre­vede la ne­cessità che anche i padri debba­no offrire ai figli una sistemazio­ne adeguata.
L’ironia amara di queste cose vuole che gli unici uomini auto­rizzati a separarsi sono i ricchi, gli evasori fiscali e i poveri; il re­sto, la gente onesta, i lavoratori dipendenti, vanno incontro a uno schianto il cui dolore, per essere compreso, deve per for­za venir vissuto. E arriviamo al secondo punto: nonostante la retorica politichese,l’uomo se­parato viene saltuariamente preso in considerazione solo in quanto «padre», ma mai in quanto uomo di trenta, quaran­ta o cinquant’anni a cui viene tolto tutto, compresa la possibi­lità di ricrearsi un’esistenza di­gnitosa. Ai separati, per dire, non viene riconosciuta la «di­gnità » di sfrattati, e nemmeno la possibilità di detrarre i costi dell’affitto. Niente, nulla, tran­ne qualche intervento spot per i più sfortunati. È possibile che questa situazione prosegua an­cora per molto tempo? Non cre­do, al netto delle cronache di quotidiana disperazione che però fanno poca audience.
Eppure, in tempi di famiglie scoppiate, allargate e allargatis­sime, la soluzione ci sarebbe: i famosi «patti prematrimonia­li » che in Italia sono ancora car­ta straccia. Si bloccherebbe l’« industria delle separazioni», che fattura miliardi di euro al­l’anno. Si darebbe certezza a milioni di persone. Si realizze­rebbero davvero le pari oppor­tunità. Siglando, è questa la spe­ranza, un patto tra uomini e donne –soprattutto chi ha dei fi­gli, frutto di un amore che non può essere gettato nel cestino delle sentenze… – ispirato a una nuova grammatica degli af­fetti.
Se la politica tiene davvero a risolvere urgenze che si colora­no di drammi diffusi, ebbene, forse è arrivato il momento che si faccia qualcosa di serio. E per davvero. 

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Gianluca Pace