ROMA – Libero difende l’ipotesi amnistia, prima con Filippo Facci, poi con Marco Gorra che ricorda, “I comunisti rinnegano il metodo che li salvò” riferendosi all’amnistia del ’90, cioè quella “che avrebbe messo il Pci-Pds al riparo da Tangentopoli”.
Ecco l’articolo:
Guai se l’amnistia dovesse fare gli interessi di una persona sola, dicono quelli di sinistra. Comprensibile: c’è la grande battaglia politica e civile contro il Caimano da portare a termine e bisogna stare alla larga da qualsivoglia cosa possa anche indirettamente favorire il campo avverso. Una battaglia vitale, al punto che in nome di essa i post-comunisti gettano alle ortiche quel poco di coerenza che ancora restava. E non si tratta di rinnegamento da poco: qui si disconosce l’amnistia del ’90, cioè quella che avrebbe messo il Pci-Pds al riparo da Tangentopoli. salvandogli letteralmente la vita. La madre di tutti i colpi di spugna ad hoc. L’amnistia in questione fu attuata mediante decreto del presidente della Repubblica il 12 aprile del ’90 e sarebbe stata l’ultima emanata come atto diretto del capo dello Stato (l’attuale formulazione parlamentare con maggioranza obbligatoria a due terzi verrà introdotta con la riforma del ’92) e risultò in un colpo di spugna su un’infinità di reati, ivi incluso quello di finanziamento illecito ai partiti. Conseguenza pratica del tutto fu la cancellazione istantanea, quanto a profilo penale, di ogni finanziamento irregolare versato per il periodo che va dal dopoguerra all’ottobre ’89 dall’Unione sovietica al Partito comunista italiano. I rubli di Mosca (che pagava in dollari, ma non è questo il punto) finiti nelle casse di Botteghe oscure tutto d’un tratto smisero di rappresentare un problema per i dirigenti comunisti e per i di loro avvocati. Così come sarebbe ingeneroso dare all’amnistia tutto il merito per la scampata Tangentopoli dei comunisti, è però innegabile che il muro alzato da essa a tutela degli affari rossi precedenti l’89 abbia dato una mano enorme. Soprattutto all’inizio, quando i magistrati milanesi non avevano ancora affinato certe selettività e si concentravano anche sul Pds milanese. I tempi di Primo Greganti – beccato coi soldi a Tangentopoli già iniziata e pertanto non amnistiabile – erano ancora di là da venire. Dopo la depenalizzazione de facto di cui aveva goduto per tutta la prima repubblica (la storia dei soldi da Mosca la sapeva già De Gasperi, che tuttavia non potendo per motivi di pace sociale denunciare la cosa e mettere fuori legge il Pci inaugurò una politica di lassez faire destinata a pluridecennale fortuna), i comunisti approfittarono dunque del colpo di spugna nel momento del bisogno. Nel momento in cui i bilanci dei partiti prendevano a essere passati col lanternino e nel momento in cui l’unica regola diventava il vietato perdonare, ecco che sulla storia contabile di Botteghe oscure calò l’opportuno velo dell’amnistia. Come la sorte stesse loro recapitando il regalo della vita, i comunisti lo avevano capito da subito. Al punto che, consapevoli dell’enormità della cosa, saggiamente fecero in modo di gestirla dando nell’occhio il meno possibile. La ricostruzione degli eventi l’ha fornita ieri il capogruppo azzurro alla Camera Renato Brunetta: «A tenere le fila dei deputati del Pci fu Anna Finocchiaro Fidelbo. La quale propose al suo partito di votare l’astensione». La scappatoia individuata furono i lavoratori della Fiat: «La ragione l’aveva esposta un indignatissimo Gian Carlo Pajetta», ricorda Brunetta, «il quale lanciò il sospetto che l’amnistia fosse stata pensata contro i lavoratori della Fiat. Disse che il processo all‘ingegner Romiti e ad altri dirigenti per violazione dello Statuto dei lavoratori aveva avuto tempi cronometrati “giusto in tempo per l’amni – stia”». Andò a finire con i parlamentari di Botteghe Oscure che si astennero a maggior gloria delle maestranze di Mirafiori e col verbale della seduta che riporta gli «applausi dei deputati del gruppo del Partito comunista italiano». Se stessero battendo le mani per sostenere la linea del compagno Pajetta o per festeggiare il colpo di spugna che, pochi mesi dopo, avrebbe consentito loro di uscire senza un graffio dall’ecatombe della prima repubblica è una domanda destinata a rimanere senza risposta.