ROMA – “In Italia investiremo 9 miliardi”, Marco Patuano, ad di Telecom Italia, intervistato dal Corriere, parla del nuovo piano strategico: “In Italia 9 miliardi di euro in tre anni, di cui tre miliardi e mezzo solo sulle reti di nuova generazione, fissa e mobile, e nel clouding”. Ecco l’intervista completa:
«Un’operazione a cui i fondi hedge — spiega Patuano — hanno reagito mettendo in campo strumenti di copertura il cui effetto è far scendere il titolo. L’entità del calo non mi ha sorpreso».
Ammetterà che non è un bel segnale, trattandosi del primo piano strategico interamente suo.
«Il giudizio sulla parte industriale, che leggo nei report, è positivo».
Può aver pesato il fatto che nel piano non si parla di aggressione del debito, la stella polare di questi ultimi anni?
«Non modifichiamo il nostro focus, verrà mantenuta una rigorosa disciplina finanziaria. Questo prima di tutto è un piano industriale, in cui la priorità torna sugli investimenti, ma dove il debito è altrettanto importante. E’ la componente industriale che crea sviluppo e crescita e su questo dobbiamo puntare».
Nel piano ha indicato in 4 miliardi di euro le risorse che verranno generate. Ieri ha incassato 1,3 miliardi dal bond. Il resto?
«Nell’ambito della valutazione degli asset all’interno del nostro perimetro, ne sono stati individuati alcuni che possono essere valorizzati meglio al di fuori di Telecom, come le torri di trasmissione, che vengono valutate con un multiplo triplo rispetto a quello delle aziende di telecomunicazioni. Noi tra Italia e Brasile ne abbiamo quasi 20.000 il cui valore è di circa 2 miliardi di euro. Poi ci sono i multiplex per il digitale terrestre».
E l’Argentina. Finora non si era mai parlato di vendita.
«Per Telecom Argentina abbiamo ricevuto un’offerta non sollecitata da 1 miliardo di dollari da un fondo americano (Fintech dell’imprenditore messicano David Martinez, ndr ) che abbiamo deciso di valutare e ora cercheremo di finalizzare. L’Argentina è un buon asset, industrialmente interessante, ma il Paese presenta forti rischi e poi, per il fatto che non si possono portare via i dividendi, non dà alcun contributo alla posizione finanziaria netta di Telecom».
Così però si perde la creazione di valore.
«La decisione deriva anche dall’analisi sul contributo che ogni singola business unit può dare al posizionamento strategico di Telecom nel lungo periodo, che è fatto di tanti brevi periodi, e ora il contributo dell’Argentina è incerto. La vendita va contestualizzata all’interno del programma industriale che ha l’azienda. Abbiamo stanziato un’enorme quantità di investimenti e messo in sicurezza le risorse necessarie».
Quanto investirete?
«In Italia 9 miliardi di euro in tre anni, di cui tre miliardi e mezzo solo sulle reti di nuova generazione, fissa e mobile, e nel clouding. E’ 2,5 volte di più di quanto era stato stanziato nel vecchio piano».
Quindi sulle reti di nuova generazione farete da soli. Il progetto di scorporo è definitivamente tramontato?
«Spesso si ha la tendenza a vedere il bicchiere mezzo vuoto, ma partire dall’”equivalence of input” non è ovvio, a tendere sarà la best practice in Europa e noi siamo pronti a partire rapidissimamente. Superiamo subito l’impasse. Se poi si dovessero verificare condizioni differenti, il consiglio valuterà se evolvere verso lo scorporo».
Dica la verità, è Telefonica che ha bloccato lo scorporo della rete?
«Lavoro in Telecom da 23 anni, ero qui quando era pubblica, poi con Rossi, Rossignolo, Bernabè, Colaninno, Tronchetti e poi ancora Rossi e Bernabè. Sono un manager e ragiono nell’interesse dell’azienda e di tutti i suoi azionisti».
Ci sarà pure una parte del piano in cui si vede l’impronta di Telefonica.
«Si vede nell’importantissimo cambio di mix agli investimenti in conto capitale (capex) che andremo a effettuare. La differenza principale è nella riduzione degli investimenti in attivi non innovativi per mettere le risorse al servizio delle reti di nuova generazione. Avevamo individuato questa impostazione e nel confronto con Telefonica ci siamo accorti che anche loro facevano lo stesso e dunque abbiamo lavorato insieme».
Non è che nella decisione di non toccare il Brasile c’è un’interesse degli spagnoli?
«Abbiamo adottato un sistema di governance molto chiaro, di cui Telefonica ha piena consapevolezza e grande rispetto. Non è arrivata oggi in Telecom. Il consiglio ha condiviso l’idea che mantenere la presenza in Brasile consente di mettere insieme una parte dell’attività che ha forte generazione di cassa, ossia l’Italia, e attività che presentano invece un forte potenziale di crescita».
Esclude quindi la vendita?
«Se un giorno dovessimo valutare un cambio di strategia, a una visione forte dovrà corrispondere un’altra strategia forte».
Come immagina Telecom nel 2016, al termine del piano?
«Non come un’azienda di sola telefonia ma che trasmette contenuti, clouding, servizi Ict alle aziende. Vogliamo superare il concetto di fisso e mobile per diventare un’azienda che dà connettività e contenuti sopra questa connettività. Per un’azienda di telefonia non è facile metabolizzare cosa sarà il mondo dei contenuti e dei servizi. Serve uno sforzo tecnologico, culturale e operativo. Ma abbiamo già iniziato. L’accordo che abbiamo firmato questa settimana con Sky va in questa direzione».
La sua idea non sembra molto diversa da quella di Marco Fossati, che immagina una Telecom più orientata su contenuti e servizi a valore aggiunto.
«Sono rimasto colpito dal suo piano. In massima parte sono così d’accordo con la sua impostazione che il mercato l’ha ritrovata nel mio piano. Vuole tenere il Brasile, fare partnership, investimenti e un prestito convertibile. Dal punto di vista industriale c’è grande sintonia».
Perchè non vi parlate?
«Fossati è un azionista importante e io sto per iniziare un road show presso gli investitori per spiegare il piano. Avrei piacere di farlo anche con lui».