
Marco Travaglio, Giovanni Falcone e l’inchiesta sulla trattativa Stato-Mafia. Scrive Marco Travaglio sul Fatto:
Se Marcelle Padovani, storica corrispondente del [settimanale francese] Nouvel Observateur, amica e confidente di Giovanni Falcone, si fosse fermata qui nella commemorazione promossa il 23 maggio a Palermo dall’Anm locale, gli avrebbe reso un ottimo servigio. Invece subito dopo è partita per la tangente con una tirata contro i pm che indagano sulla trattativa Stato-mafia, nata subito prima o subito dopo la strage di Capaci e proseguita dopo via D’Amelio che ne fu la tragica conseguenza (di Capaci e della trattativa).
Non per dire – come sarebbe legittimo – che Marcelle Padovani non condivide l’indagine. Ma per farlo dire a Falcone, che non può confermare né smentire.
Anziché stendere un velo pietoso su un tale abuso della memoria, l’Unità ha pubblicato il suo intervento col titolo: “L’eredità di Falcone. Il giudice non avrebbe mai avviato l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia”.
Secondo l’ereditiera, “parecchi suoi colleghi, pur sostenendo di essere come lui isolati, si rivelano invece molto più vicini alla politica e condizionati dai mass-media”.Più vicini alla politica è davvero difficile, visto che nessuno dei pm della trattativa – Di Matteo, Delbene e Tartaglia – lavora al ministero della Giustizia come fece Falcone nel governo Andreotti.
Risulta invece che godano di ecumenica impopolarità nei palazzi della politica, visto il trattamento loro riservato dal Colle al Csm al governo in giù. Così poco isolati da essere i nemici pubblici dei vertici sia dello Stato sia della mafia, infatti Riina li vuole morti ammazzati come Falcone e Borsellino.
Quanto alla “mediatizzazione estrema” e all’“autorappresentazione sacrificale del proprio ruolo”, non risulta che i tre pm siano editorialisti di quotidiani, titolari od ospiti fissi di programmi tv, come fu sacrosantamente Falcone su La Stampa, a Rai2 e al Costanzo Show.
Eppure la Padovani, coautrice del libro-intervista con Falcone Cose di Cosa Nostra, li bolla di “protagonisti dell’Antimafia” (lei preferisce le comparse): l’epiteto riecheggia sinistramente i “professionisti dell’Antimafia” di Sciascia, che attaccò Borsellino appena promosso procuratore di Marsala, nella speranza di bloccare la (da lui) paventata promozione di Falcone a Palermo. A questo punto l’ereditiera utilizza il proscenio gentilmente offertole da quei geni dell’Anm per fare campagna innocentista per gli imputati al processo Trattativa ed elettorale (purtroppo invano) per il prof. Fiandaca, giustificazionista della Trattativa dunque candidato del Pd alle Europee di due giorni dopo, usando Falcone come santino propagandistico: “Falcone si stupirebbe di sentir parlare della cosiddetta ‘trattativa’”.
In effetti un giudice che dedicò la vita a combattere la mafia si stupirebbe nell’apprendere che politici e carabinieri negoziavano col mafioso Ciancimino (da lui fatto arrestare e condannare) per mettere le istituzioni al servizio di Riina che aveva appena fatto uccidere lui, sua moglie e la scorta.
Ma non è di questo stupore che ci parla la Padovani: “Falcone non avrebbe mai avviato un’inchiesta e un processo del genere né considerato la ‘trattativa’ un reato in sé. Si sentirebbe dunque più vicino alle tesi di Fiandaca, convinto com’era che la mafia si combatte… anche cedendogli (sic, ndr) informazioni per ottenerne altre o evitare assassinii. Avrebbe pensato a perseguire eventuali delitti concreti dei ‘trattativisti’”.
Purtroppo la disinformata ereditiera non sa che nessun magistrato considera la trattativa un reato in sé, infatti nessuno risponde del delitto (inesistente) di trattativa: bensì di quello (concreto) di “violenza o minaccia a un corpo politico”, vedi art. 338 Codice penale. E dimentica che la trattativa non servì a carpire informazioni o a evitare delitti, tant’è che produsse altre stragi (via D’Amelio, Firenze, Milano e Roma) per salvare dalla vendetta mafiosa i politici “traditori”.
Ma soprattutto le sfugge un dettaglio: se Falcone avesse trattato con Cosa Nostra anziché combatterla, sarebbe ancora vivo. E forse le farebbe uno squillo: “Marcelle, fai il favore, infòrmati”.