
ROMA – Marco Travaglio paragona Matteo Renzi a Bettino Craxi, il defunto leader socialista caduto sotto i colpi del maglio di “mani pulite” vibrati da Antonio Di Pietro.
Secondo Marco Travaglio, Matteo Renzi “è diventato un Craxi senza tangenti”, affermazione allo stato incontestabile ma subito corretta:
“È ancora così giovane…”.
L’articolo di domenica 18 ottobre 2015 scritto da Marco Travaglio per il Fatto segue quello di sabato 17 ottobre in cui il termine di paragone per Renzi era Berlusconi. Come l’editoriale di sabato, anche quello di domenica contiene molte verità che però portano al risultato di accrescere l’immagine di Matteo Renzi anziché deprimerla.
L’articolo di domenica, rispetto alla puntata su Renzi = Berlusconi, presenta più forzature e non è una novità assoluta. Quasi 2 anni fa, ad esempio, Claudio Martelli, che di Craxi fu uno dei più stretti collaboratori, sosteneva più o meno la stessa tesi.
L’articolo di Marco Travaglio è intitolato “Arrafael”, gioco di parole tra arraffo (le note spese non proprio luminose di Renzi) e Raphael, l’albergo di Roma dove risiedeva Craxi e dove, si apprende ora, alloggiava anche il giovane Matteo Renzi nelle sue discese a Roma quando era presidente della Provincia e sindaco di Firenze.
Lì, allo Hotel Raphael, “storico albergo dietro piazza Navona, a Roma, Marco Travaglio rievoca come Bettino Craxi
“discusse per anni di politica con i fedelissimi, ma anche di bonifici estero su estero con i suoi tesorieri occulti Tradati, Larini, Giallombardo & C.
Lì, il 15dicembre 1992, i carabinieri venuti da Milano gli consegnarono il suo primo avviso di garanzia firmato Di Pietro, Colombo e Davigo. Lì, il 29 aprile 1993, l’ormai ex segretario del Psi festeggiò con una processione di compari il diniego della Camera alle autorizzazioni a procedere contro di lui, presente Berlusconi con una boccia di champagne.
E poche ore dopo, quando uscì per raggiungere Giuliano Ferrara negli studi di Canale5, la folla inferocita lo seppellì di monetine e sputi, mentre la satira storpiava il nome Raphael in “Arraffael”.
Di lì il 5 maggio ’94, persa la immunità parlamentare, partì per l’ult ima volta alla volta di Fiumicino per trasferirsi definitivamente ad Hammamet, sotto l’ala del presidente golpista Ben Alì”.
Chissà mai perché, si interroga ora Marco Travaglio,
“sette anni fa il presidente della Provincia di Firenze e il suo capo di gabinetto Luca Lotti, toscani trentenni e figli di papà democristiani, scelsero di soggiornare proprio lì nelle loro trasferte romane. Domanda legittima, visto che Renzi poco dopo respinse come “diseducativo” il progetto di una piazza fiorentina dedicata a Craxi. Ma un po’ ingenua: checché se ne dica, Renzi non è l’ultimo figlio della Dc, né un ex boy scout cresciuto nel culto di La Pira (oggetto, che Dio lo perdoni, della sua tesi di laurea). Nelle sue vene scorre sangue craxiano molto più che democristiano”.
Tesi ardita, però affascinante e forse basata su una visione mistica oltre che su oggettive analogie fra i due uomini politici che in comune hanno una serie di caratteristiche oggettivamente riscontrabili e che qui si riassumono in 14 punti, non tutti centrati ma che tracciano un disegno affascinante:
1. entrambi restano negli annali della Repubblica come i segretari di partito più giovani dell’Italia repubblicana (Craxi agguantò il Psi a 42 anni, Renzi il Pd a 39).
2. Entrambi disinvolti spregiudicati, spavaldi, sbruffoni, sbrigativi, bulleschi, decisionisti.
3. Fissati con il “primato della politica” su tutto, anche sulla legge, dunque con la riforma della Costituzione. Insofferenti alle regole della democrazia parlamentare.
4. Allergici alle critiche (da “Passami il sale” a “Fassina chi?”), sprezzanti con tutti i contropoteri: opposizione, sindacati, stampa libera, pm indipendenti (le due leggi sulla responsabilità civile dei magistrati le han volute loro, nel 1988 e nel 2014).
5. Arroganti col mondo della cultura (Craxi a Galli della Loggia: “Intellettuale dei miei stivali”; Renzi e/o Boschi a Zagrebelsky e Rodotà: “Professoroni, soloni, gufi”).
6. Sedicenti “leader di sinistra”, ma portatori di ricette di destra e compiaciutamente circondati da ricconi, stilisti, nobilastri, damazze, sbanchieri e magnager (“nani e ballerine”, per dirla con Rino Formica, critico di entrambi).
7. Sempre in maniche di camicia bianca, ogni tanto con su il chiodo nero (Craxi però esibì il giubbotto di pelle a una tribuna politica: Renzi, dalla De Filippi) e violatori delle etichette (Bettino si presentò in jeans da Pertini che lo rispedì a casa a rivestirsi, Renzi andò a una cerimonia al Quirinale vestito di chiaro e Napolitano finse di non vedere).
8. Stessa confusione fra andare al governo e prendere il potere, e fra il pubblico e il privato (Craxi aveva il cognato Pillitteri e il figlio Bobo, Renzi papà Tiziano e la sorella assessora Benedetta).
9. Stessa orticaria per il partito, subito liofilizzato in una cerchia di amici obbedienti e amiche adoranti (dal Garofano al Giglio Magico).
10. Stessa bulimia di potere somatizzata in pinguedine.
11. Stesso stuolo di leccaculi, adulatori, lustrascarpe.
12. Stesso vezzo di circondarsi di belle donne (pe Craxi la Cappiello, la Boniver e la Bellisario, per Renzi il trio Boschi-Madia-Moretti, cui s’è aggiunta nel frattempo Anna Ascani).
13. Stesse manie di grandeur (uno la piramide di Panseca e il viaggio in Cina con decine di cortigiani, l’altro le Leopolde e l’Air ForceRenz per aviotrasportare il proprio monumento equestre con tutto il cucuzzaro).
14. Stesso vizietto di alloggiare a sbafo (Craxi al Raphael, Renzi nel pied à terre di Carrai).
Ecco perché il pellegrinaggio del giovin Matteo al Raphael, cioè nella Betlemme craxiana, poco dopo il battesimo alla Ruota della Fortuna e poco prima della cresima alla villa di Arcore, stupisce fino a un certo punto. Oggi Renzi ce l’ha fatta.
