ROMA – “Contrada mafioso a sua insaputa” è il titolo dell’editoriale a firma di Marco Travaglio sulle pagine del Fatto Quotidiano di giovedì 16 aprile.
“Contrada condannato per nulla. E ora si riapre il caso Dell’Utri” (il Giornale). “Contrada nel meccanismo infernale”, “Un uomo innocente” (Il Foglio). “Strasburgo respinge la zona grigia del concorso esterno” (Il Messaggero ). “Contrada, condanna iniqua. Se ne accorge l’Europa dopo 23 anni di inferno”(Libero ). “La Corte europea ‘assolve’ Contrada”(La Stampa). Chi ieri avesse comprato uno di questi giornali, s’è fatto l’idea che Bruno Contrada, già capo della Mobile e della Criminalpol di Palermo, già numero tre del Sisde (alla guida del dipartimento Criminalità organizzata) fino al Natale 1992, quando fu arrestato e poi condannato ingiustamente senz’aver fatto nulla.
Da innocente. Sbagliarono dunque i 2 pm che lo inquisirono, il gip che lo arrestò e rinviò a giudizio, i 3 giudici del Riesame e i 5 della Cassazione che confermarono il suo arresto, i 5 della Cassazione che lo condannarono in primo grado, i 5 della Cassazione che annullarono la sua assoluzione in appello, i 3 del secondo appello che lo condannarono e i 5 della Cassazione che confermarono definitivamente la condanna. Senza contare i 2 Pg d’appello e i 2 di Cassazione che chiesero la sua condanna, e i 5 della Cassazione (più il Pg) che due anni fa respinsero la sua istanza di revisione del processo. Totale dei complici del clamoroso errore giudiziario: 39 magistrati di sedi e funzioni diverse. Roba da Spektre. Uno poi legge le anticipazioni della sentenza della Corte europea di Strasburgo e scopre che, come sempre, non entra minimamente nella ricostruzione dei fatti addebitati a Contrada, ma si limita a sostenere che all’epoca di quei fatti (1979-1988) il reato per cui è stato condannato – concorso esterno in associazione mafiosa – “non era sufficientemente chiaro e prevedibile”. Cioè il superpoliziotto era mafioso, ma a sua insaputa: non sapeva che farsi pagare dallo Stato per aiutare la mafia era reato.
Ora, il concorso esterno è il combinato disposto dell’associazione mafiosa (introdotta nel Codice penale nel 1983: prima era associazione a delinquere semplice) e del concorso nel reato. Chi aiuta stabilmente la mafia senza far parte dell’organico risponde, appunto, di concorso esterno. Sai che novità: era così nell’800 per il brigantaggio, era così negli anni 70-80 del 900 per il terrorismo. Poi la Cassazione cominciò a cavillare fra concorso esterno (la “messa a disposizione” di professionisti e politici) e favoreggiamento mafioso (uno-due episodi sporadici di complicità), incasinando tutto. Ma lo fece dal 1991, cioè dopo i fatti addebitati a Contrada: prima era tutto chiaro. E questa è la prima smarronata della sentenza di Strasburgo, peraltro non definitiva (al contrario di quella italiana) e impugnabile dal nostro governo dinanzi alla Grande Chambre. La seconda è che, senza il reato di concorso esterno, Contrada sarebbe stato assolto, anzi non sarebbe stato né indagato né arrestato né processato. Balle: sarebbe stato condannato per associazione a delinquere (fino al 1983), o per associazione mafiosa (dopo), o per favoreggiamento alla mafia. In ogni caso, nessuna sentenza europea può assolvere i condannati negli Stati membri, ma solo risarcirli di eventuali danni subìti in seguito a norme incompatibili col diritto comunitario: Contrada, che s’è fatto 9 anni di galera, ha avuto 10 mila euro di danni morali (e non materiali, su quelli la sua richiesta è stata respinta). Il che fa pensare che alla gravissima ingiustizia contro il povero innocente credano poco anche a Strasburgo.
Chi poi racconta la favoletta che ora pure Dell’Utri potrebbe vedersi annullare la sua condanna non sa quel che dice: il suo periodo criminoso è successivo a quello di Contrada e della presunta confusione normativa (i fatti vanno fino al 1993); e Strasburgo non annulla le condanne. Questi sono i fatti, casomai interessassero a qualcuno. È vero o no che Contrada tradì lo Stato per cui lavorava, mettendosi al servizio di Cosa Nostra che era pagato per combattere? La risposta è sì. E non – come vaneggia il solito amico di tutte le canaglie Giuliano Ferrara –per un processo fondato su “pentitismo e intercettazioni a strascico”. Ma per i fatti spaventosi raccontati da una miriade di autorevolissimi testimoni. A cominciare dai colleghi di Falcone e Borsellino, che raccontano la diffidenza nutrita dai giudici – come pure da Boris Giuliano – nei confronti di “’u Dutturi”: i magistrati Del Ponte, Caponnetto, Almerighi, Vito D’Ambrosio, Ayala. E poi Laura Cassarà, vedova di Ninni (…)