ROMA – “L’Ignaro rampante” è il titolo dell’editoriale a firma di Marco Travaglio sulle pagine del Fatto Quotidiano di domenica 4 ottobre.
Onesto è onesto, Ignaro Marino, per carità. Solo, potrebbe stare più attento alle spese “istituzionali” con la carta di credito del Comune: il noleggio di limousine nelle varie trasferte americane o i pranzi di lusso a Roma con delegazioni di trapiantologi che sostiene di dover allenare in vista delle udienze papali in Vaticano, ecco, insomma, destano qualche piccola perplessità. Le ferie in America sono un suo diritto e attaccarlo anche per quelle non ha senso. Però, ecco, insomma, questa continua spola di qua e di là dall’Atlantico, tipo pallina da flipper, fa un po’specie: ma benedett’uomo, se ti piacciono così tanto gli States, chi te l’ha fatto fare di candidarti a sindaco di Roma, città inequivocabilmente sita in Italia?
Un comune americano, a cercar bene, lo trovavi sicuro, anche se è meno certo che gli abitanti ti avrebbero eletto sindaco per disperazione (il privilegio di esser governati nell’ordine da Signorello, Giubilo, Carraro, Rutelli, Veltroni e Alemanno non è mica di tutti). Sorvoliamo –per carità di patria e perché ieri le han già riassunte Antonio Padellaro e Selvaggia Lucarelli -sulle continue gaffe che costellano la sua sindacatura: tipo precipitarsi a Filadelfia per accogliere il Papa che di solito sta a poche centinaia di metri dal Campidoglio e tutto si aspetta fuorché di essere accolto a Filadelfia dal sindaco di Roma; o insegnare a Papa cosa deve dire il Papa; o rispondere alle polemiche sui due soggiorni ravvicinati in America annunciandone un terzo. E concentriamoci sulle possibili cause cliniche della precipitosa e preoccupante deriva cabarettistica che sta mettendo a dura prova i nervi dei residui sostenitori.
Soprattutto del presidente Pd e commissario romano Matteo Orfini, sempre più simile all’ispettore Dreyfus, capo dell’ispettore Clouseau: ogni volta che Marino apre bocca, cioè dieci volte al giorno prima e dopo i pasti, Orfini è sempre sul punto di abbatterlo a revolverate o di murarlo vivo in un sotto-scala; ma non può, perché poi si andrebbe a votare e già si sa chi vincerebbe, e soprattutto chi perderebbe. Il che spiegala giuliva spensieratezza con cui l’allegro chirurgo va ogni giorno al massacro, sfracellandosi su selve di microfoni e telecamere, inventando gaffe troppo perfette per non essere studiate a tavolino, nell’olimpica certezza che niente e nessuno lo può toccare. La patologia che pare affliggerlo è ancora in fase di studio, ma gli esperti propendono per la“sindrome Deschanel” (…)