Massimo Fini: “In Italia la stampa ha smesso da molto tempo di fare il suo mestiere”

Massimo Fini

ROMA – “In Italia la stampa ha smesso da molto tempo di fare il suo mestiere”. Parola di Massimo Fini. Il giornalista, scrittore, intellettuale intervistato da Andrea Coccia per Linkiesta.it spiega: “è totalmente versipelle, ma ci sono esempi di tutti i tipi. Giuliano Ferrara direi che ne è l’emblema, perché è una persona intelligente, anche se in questo caso l’intelligenza mi sembra una aggravante più che un’attenuante. In ogni caso, è questo mondo quello di cui parlo: i Ferrara, i Della Loggia, i Panebianco, i Battista e via dicendo, sono loro che hanno squalificato il lavoro del giornalista”.

E ancora: “O fai parte della compagnia del giro, quella dei Fazio, dei Saviano, dei Gramellini, o non avrai spazio. Per avere spazio devi essere cooptato da qualcuno. Prendiamo l’esempio di Luttazzi, così non parliamo solo di me, Luttazzi è uno che riempie i palazzetti dello sport con i suoi spettacoli, e forse interesserebbe a qualcuno se lo facessero passare in televisione, ma Luttazzi in televisione non ci rientrerà mai più, perché non fa parte di nessun gruppo, non fa parte della compagnia del giro”. “Ma ci sono anche esempi positivi”, ci tiene a puntualizzare Massimo Fini, “penso ai Rizzo, agli Stella, che hanno fatto parecchia gavetta e che sono degli ottimi giornalisti. Il problema è che restano in uno stato di perenne gavetta, non avranno mai il peso che può avere un editorialista del Corriere della Sera, che poi non si sa nemmeno più perché debbano essere loro gli editorialisti del Corriere”.

Parla di onestà intellettuale Massimo Fini: “un atteggiamento mentale che dovrebbe rappresentare la normalità. Significa trattare nello stesso modo chi ti sta simpatico e chi ti sta antipatico. Una cosa se secondo te è sbagliata, o giusta, lo devi riconoscere indipendentemente da chi la fa. Questo vuol dire essere coerente e onesto intellettualmente, se no fai l’agitatore, che è un altro mestiere. Purtroppo oggi quasi tutti i giornali, piccoli o grandi che siano, sono tutti schierati o da una parte o dall’altra. Certo, questo è un discorso che riguarda soprattutto gli editorialisti, poi all’interno della redazione c’è ancora chi fa servizi, cronaca e reportage molto bene. Mi viene in mente Paolo Rumiz, per esempio. Essere coerenti vuol dire anche che se una volta affermi una cosa e il giorno dopo il suo contrario, per lo meno devi ammetterlo e ricordarlo al tuo lettore. Il grande corruttore in questo senso è stato Eugenio Scalfari, il quale incominciò a dire una cosa per poi dire il suo contrario sei mesi dopo, finché arrivò all’apice assoluto e, in un articolo su Bettino Craxi, scrisse una seconda parte in cui riusciva a smentire ciò che lui stesso aveva detto nella prima. Un tempo questo non sarebbe stato possibile, perché come diceva Giorgio Bocca esisteva una «società degli eccellenti»”.

Fini poi racconta del suo rapporto con Vittorio Feltri (“quando non gli era ancora passato sopra il Berlusconismo”) e del suo incontro all’Indipendente: “Era un giornale molto aperto, fu per questo che forse riuscì a coinvolgere lettori provenienti da tanti settori diversi, con diverse idee politiche, anche. Tra i collaboratori scelti da Feltri c’era chi era di destra e chi di sinistra, ma il tutto aveva una sua faccia, che era la sua, quella di Feltri, che aveva inventato il feltrismo e abbiamo vissuto un anno e mezzo straordinario, con una redazione molto giovane e motivata. Siamo passati da 20mila a 120mila copie nel giro di pochi mesi. Vivevamo in una specie di sogno, quello di un giornale libero, perché il nostro editore Zanussi era uno che ci permetteva di fare tutto: pensa che un giorno arrestarono il nostro amministratore nell’ambito di alcune inchieste di Mani pulite e noi uscimmo con quel pezzo in prima pagina. Insomma, eravamo liberi sul serio”. “Solo che”, continua Massimo Fini, “un giorno d’agosto, Feltri mi invita a cena e mi fa la terrorizzante domanda: «ma se vado al Giornale vieni con me?» E allora io lì a spiegargli che era un errore, da ogni punto di vista, sia professionale che politico, e che lo era anche per lui. Insomma, finiamo la cena un po’ brilli tutti e due e lui, bicchiere in mano, alza il calice e dice «ma sì, in culo a Berlusconi, restiamo all’Indi!». Il giorno dopo aveva firmato”.

“Per Vittorio ha contato per prima cosa il fatto che non si dovrebbe mai nascere poveri — al Giornale gli offrivano un miliardo, da noi prendeva 250 milioni — ma soprattutto aveva capito che Berlusconi era il più forte in quel momento e dunque decise di lasciare quella straordinaria avventura. Abbiamo litigato molte volte su questa cosa, gli ho detto di tutto, anche se poi siamo sempre rimasti in contatto. E devo dire che l’ultima volta che ci siamo sentiti, mi sembra un annetto fa, anche lui ha ammesso che, in fondo, era stata una scelta sbagliata. Prima era il Feltri anarchico di destra, libero e indipendente, poi gli passò sopra il berlusconismo. In quegli anni, però, successe una cosa ben più grave: fu spazzato via tutto ciò che si era in qualche modo opposto alla partitocrazia: la Lega, che fu inglobata, Funari, emarginato, Feltri, comprato, e così andare. Hanno fatto quello che credo cercheranno di fare con Grillo e con il Movimento 5 Stelle”.

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Gianluca Pace