“Nel video c’è questa ragazza che balla dentro un ufficio vuoto. In sovraimpressione scorrono le sue parole: sono le 4 e mezzo del mattino e lei si sta licenziando a ritmo di rap. Marina è americana, ha 25 anni e da due lavora a Taiwan, in una società di animazione a cui ha riservato ogni spicciolo di tempo ed energia. Ma non sono stati i sacrifici a esasperarla, quanto l’infelicità che emanava da un lavoro frustrante, alle dipendenze di un capo che non la giudicava sulla base dei suoi talenti, ma di parametri meramente quantitativi. Da qui la decisione di andarsene, e di farlo con un video che esprimesse la creatività che le era stato proibito manifestare.
È solo la versione di Marina. Il capo ce ne fornirebbe probabilmente un’altra, trasformando persino un licenziamento così originale (…) nella prova del carattere inaffidabile della sua collaboratrice. Il cuore, inutile dirlo, batte per la ragazza che si concede il lusso di una scelta di libertà non ancora frenata da mutui e bollette. In Italia sarebbe più difficile, perché la maggioranza dei coetanei di Marina è ancora alla ricerca di un lavoro da cui potersi licenziare.”