Il Corriere della Sera: “Più soldi in busta paga, più tasse sulle rendite”. Annunci e realtà. Editoriale di Dario di Vico:
Dire che le conferenze stampa alla Renzi sono ispirate alla più completa irritualità è diventato in poco tempo un eufemismo. Il neopremier ieri ha illustrato le scelte e i provvedimenti votati poco prima in Consiglio dei ministri alla stregua di un banditore e francamente il metodo non aiuta. Specie quando sono in gioco misure complesse, quando si tratta di valutare i delicati equilibri di finanza pubblica o solo individuare il perimetro delle novità normative, una più pacata trasmissione delle informazioni giova. Sicuramente al lavoro dei media (compresi quelli stranieri) ma ancor di più a quella trasparenza del rapporto tra politica e cittadini che rientra tra gli intendimenti prioritari di Matteo Renzi.
Ieri quest’obiettivo non è stato centrato perché alla fine dello show sappiamo i titoli dei provvedimenti che il premier ha fatto approvare, conosciamo l’indirizzo di alcuni di essi ma ci è rimasta la sensazione di non aver del tutto chiara la relazione che intercorre tra le decisioni di spesa adottate (e scandite) e le coperture di bilancio. Al punto che dovremo giocoforza aspettare il Def (il Documento economico-finanziario) per poter usufruire di elementi più certi di valutazione. Come riuscirà, ad esempio, il bisturi della spending review nel 2014 a raddoppiare i risparmi dai 3 miliardi previsti finora da Carlo Cottarelli ai 7 promessi ieri da Renzi? E ha senso adottare come riferimento per il rimborso dei debiti della pubblica amministrazione una stima di Bankitalia (90 miliardi) contestata ancora pochi giorni fa dal ministro del Tesoro uscente, che ha parlato di un pregresso limitato a 50 miliardi?
Alle otto di mattina va in scena il chiarimento, perché «le azioni solitarie non ci stanno bene», perché «è necessario condividere le iniziative di governo», perché «condividiamo il taglio dell’Irpef ma consideriamo necessario anche un intervento sull’Irap». «Serve la concertazione», dice Alfano a Renzi, che non può chiedere il giorno prima al Nuovo centrodestra di salvarlo alla Camera dall’imboscata sull’Italicum e il giorno dopo presentarsi al Senato con una legge elettorale per le Europee dov’è stata aggiunta la norma sulle quote rosa, né può pensare di proporre una riforma del bicameralismo che viene vissuta dagli alleati come «una provocazione».
Si vedrà se il toscano e il siciliano si sono capiti, come reggerà il patto che hanno stretto, se funzionerà l’«unità di missione», come il premier ha inteso ribattezzare la cabina di regia, «perché non voglio usare quel termine che sa di vecchio». È chiaro che il problema non sta nelle definizioni lessicali, è chiaro come a Palazzo Chigi le regole d’ingaggio non siano più quelle di Letta, che ha portato l’Italia sotto la fatidica soglia del tre percento ma ha dovuto lasciare al successore la possibilità di giocarsi quel margine che vale un tesoretto. Un giorno si studierà la fenomenologia politica di Renzi: il podio, le slide, un’interminabile conferenza stampa, e il resto dei ministri dopo, quasi fosse l’intendenza. Ieri Alfano ha posto una questione metodologica che ha valenza politica.
L’orizzonte del governo di Matteo Renzi è doppio. Il primo sono le elezioni europee di fine maggio, dalle quali il premier vuole ottenere una legittimazione popolare: quella che oggi gli manca e gli pesa. Il secondo è l’orizzonte europeo, che cerca di forzare per dare credibilità finanziaria ad alcune delle misure annunciate ieri da Palazzo Chigi. La cautela impone di non sottoscrivere acriticamente la «svolta buona», come il presidente del Consiglio definisce il suo piano per scuotere l’economia. Ma la sfida è netta, perfino temeraria. Conferma la volontà di giocare il tutto per tutto, scommettendo su un utilizzo di fondi che in parte non hanno ancora una copertura certa; e dunque richiedono il «via libera» delle istituzioni di Bruxelles.
I 1.000 euro all’anno nelle buste paga dei dieci milioni di italiani che guadagnano meno di 1.500 euro al mese, ricavati dalla riduzione dell’Irpef, sono una decisione a effetto: un tentativo di guadagnare consensi a sinistra e da parte dei sindacati. Renzi voleva l’entrata in vigore del provvedimento all’inizio di aprile. Ma «sono stato sconfitto con perdite», ha ammesso in conferenza stampa. Lo spostamento al 1° maggio conferma comunque un potenziale effetto elettorale: si voterà per le Europee poco più di tre settimane dopo. E la volontà di semplificare il mercato del lavoro riceve il plauso anche degli alleati del Nuovo centrodestra di Angelino Alfano. Il problema sarà di ottenere un «via libera» a livello europeo, che è dato per scontato ma non c’è ancora.
La prima pagina di Repubblica: “Fisco e lavoro, la frustata di Renzi”.
La Stampa: “Tasse e lavoro, lo scatto di Renzi”.
Leggi anche: Massimo Gramellini, Buongiorno sulla Stampa: “La sinistra diventa pop”
Il Fatto Quotidiano: “80 euro in busta paga per vincere le europee”.
Leggi anche: Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Rottamiamo le regioni”
Il Giornale: “La tasse secondo Matteo”. Editoriale di Alessandro Sallusti:
Su Internet l’hanno già definita «la televendita di Renzi». Non ho nulla contro i venditori, quelli buoni sono l’anima del commercio. I problemi,semmai,sono l’affidabilità e il prodotto. Che tradotto significa: è in grado il premier di rispettare i tempi (già dilatati rispetto alle prime promesse) della rivoluzione annunciata ieri su fisco ( mille euro in meno all’anno per chi guadagna fino a 25mila euro), casa, lavoro e tagli alla spesa? E, ammesso che ciò avvenga, la ricetta è in grado di fare lievitare la ripresa italiana? Se ho capito bene ci sono due cose certe. La prima è che aumenteranno le tasse sulle rendite finanziarie, dal 20 al 26 per cento. Si tratta di una patrimoniale con gettito previsto di due miliardi, dice Renzi (di 800 milioni dice la calcolatrice, ma si sa che lui coi numeri fa un po’ di casino). La seconda è che sarà messa all’asta l’auto blu usata da Ignazio La Russa quando era ministro. Se è la stessa su cui una volta ebbi l’onore di posare abusivamente le terga, a occhio il ricavato potrebbe essere tra i 500 e i 1000 euro (salvo colpi di testa di qualche fan feticista). Tutto il resto (taglio del cuneo fiscale e dell’Irap per le aziende) appartiene al mondo delle promesse. Non sto gufando, non è una manovra disegnata sui nostri interessi, ma non mi unisco al coro dei disfattisti. E non metto in dubbio la buona volontà del piazzista Renzi.