Matteo Renzi e le riforme, Fiat, Beppe Grillo: prime pagine e rassegna stampa

Il Corriere della Sera: “Renzi apre i giochi sulle riforme”. Detroit parla all’Italia. Editoriale di Daniele Manca:

Ce ne sono tante di scommesse dietro l’accordo che ha portato la Fiat ad acquisire il pieno controllo della Chrysler. Ha fatto bene Sergio Marchionne a parlare di intesa che entra nei libri di storia, come pure John Elkann a ricordare l’emozione che accomuna i 300 mila dipendenti del gruppo. I numeri sono importanti in un accordo che torna a proiettare la nostra industria nazionale in una dimensione globale che sembravamo, tranne rarissime eccezioni, avere smarrita. Ma le cifre spiegano solo parzialmente gli impegni, il nuovo percorso, impensabile sino a qualche settimana fa, che si sta aprendo per la Fiat, per il nostro Paese e per i numerosi attori: a cominciare dal governo.
La Borsa ha già giudicato positivamente l’accordo, le azioni del Lingotto hanno segnato un rialzo del 16,4%. La Fiat sale al 100% della casa automobilistica di Detroit, creando il settimo gruppo del settore al mondo secondo la classifica di Global Insight, con una spesa di poco più di 1,2 miliardi di euro. E questo significa che la società di Torino non avrà bisogno di un aumento di capitale, cosa che tranquillizza i mercati. Gli analisti finanziari si sono già esercitati a considerare l’indebitamento che salirà, nel gruppo combinato, a oltre 14 miliardi di euro. Debiti che si confrontano con gli 88 miliardi di ricavi previsti a fine 2013 e con un utile di 1,2 miliardi sempre di euro.
La modalità di pagamento dell’intesa prevede il versamento al fondo sanitario del sindacato dell’auto, Veba, di altri 700 milioni di dollari (dei circa 4,3 miliardi complessivi che riceverà per il 41,5% che possedeva nella Chrysler) in tre tranche diluite nel tempo. E questo dà un’indicazione precisa sul fatto che al di là dell’Atlantico si stia puntando decisamente sul futuro del gruppo.

Ecco le proposte di Renzi. E Berlusconi apre. L’articolo di Alessandro Trocino:
Matteo Renzi rompe gli indugi e sfida i partiti, proponendo tre modelli di legge elettorale possibili e invitando i leader di maggioranza e opposizione a un confronto già dalla prossima settimana. Con i consueti affondi contro «le stanche liturgie della politica», il segretario del Pd detta l’agenda, provocando reazioni contrastanti e alzando nuovamente la tensione con il governo. Perché tra i modelli proposti c’è quello spagnolo, molto gradito a Silvio Berlusconi (che infatti è tra i primi ad applaudire) e poco ad Angelino Alfano, partner del Pd nell’esecutivo delle larghe intese. E perché tra i temi dell’imminente patto di coalizione inserisce anche il capitolo Diritti civili. Mentre con un’intervista al «Fatto Quotidiano» rilancia la sfida a Beppe Grillo per cambiare «insieme» il Senato in Camera delle autonomie «risparmiando un miliardo» e contempla la possibilità di sforare il vincolo europeo del 3% nel rapporto tra deficit e Pil.
Grillo e i fedelissimi spiazzati: operazione mediatica contro di noi. Scrive Emanuele Buzzi:
Una mossa che ha in parte sparigliato le carte e messo in evidenza le diverse anime che muovono i parlamentari Cinque Stelle: la proposta lanciata da Matteo Renzi ai pentastellati — in un’intervista al Fatto Quotidiano — per trasformare il «Senato in Camera delle autonomie locali» ha creato una bagarre che ha coinvolto deputati, senatori e intellettuali di riferimento del Movimento. L’unico a tacere è stato invece proprio Beppe Grillo. Il leader, secondo fonti vicine ai Cinque Stelle, avrebbe preferito non replicare al segretario pd per non alimentare un «battibecco sterile», che viene visto solo come «uno spot» per Renzi. Un atteggiamento diverso, quindi, per prendere le distanze da «una sorta di stalking mediatico».
Il silenzio di Grillo, però, si è trasformato in un boomerang alla Camera, dove il capogruppo pentastellato Federico D’Incà ha richiamato i suoi all’ordine con un sms perentorio — «Non cedere alle provocazioni di Renzi su media, le risposte verranno date dai capogruppo M5S nelle sedi opportune» —, scatenando le reazioni di alcuni esponenti del Movimento e dei parlamentari democratici. «Oggi scopriamo che i loro parlamentari prendono ordini via sms, come tante Ambra audio guidate da Boncompagni/Casaleggio», ironizza il senatore Francesco Scalia. In realtà, molti deputati e senatori, specie tra i fedelissimi di Grillo, si erano già espressi a caldo. I gruppi parlamentari pentastellati avevano parlato di «leader telecomandato». Per Roberto Fico, Renzi è «lo “scintillio di luci” per illudere, ancora una volta, sull’inizio di una “nuova´ stagione”» del Pd. Luigi Di Maio sposta il target dalla riforma del Senato alla legge elettorale: «Il Movimento 5 Stelle voterà per il ritorno al Mattarellum». E attacca: «Se Renzi ha paura di perdere le prossime elezioni con il Mattarellum, lo ammetta». Ma il pensiero dei Cinque Stelle lo riassume anche Vito Crimi, che contesta il merito del messaggio.
L’operaio Usa guadagna di più, il Fisco pesa meno. Scrive Giovanni Stringa:
Un operaio nello stabilimento Chrysler di Jefferson North, a Detroit. Un altro nella fabbrica Fiat di Mirafiori, a Torino. Vivono lontani migliaia di miglia e l’oceano che li separa vale anche per le buste paga. Diversissime, dalle retribuzioni fino alle tasse e addirittura alla frequenza (settimanale negli Stati Uniti, mensile in Italia). Eppure, adesso i due operai-turnisti hanno in comune una cosa non da poco: l’azienda per cui lavorano, al 100%.
Nella fabbrica Usa, con i nuovi contratti post-2009, ci si porta a casa circa 500 dollari netti a settimana. È un numero indicativo e medio della categoria, così come lo sono tutti gli altri a seguire. Al mese fanno all’incirca 2.100 dollari. Che, in euro, diventano 1.550. L’operaio italiano, invece, a fine mese incassa intorno a 1.350 euro. Ma il «netto in busta» arriva una volta in più (in Italia c’è la tredicesima) di quanto succeda al collega americano. Se fosse in cassa integrazione la sua paga sarebbe decurtata di diverse centinaia di euro, a seconda del numero di ore passate in fabbrica o in cassa. La Fiom Cgil parla di stipendi da 800-900 euro netti per chi è in cassa integrazione a zero ore da diverso tempo.

La prima pagina di Repubblica: “Riforme, Renzi sfida i leader”.

La Stampa: “Riforme e diritti, il piano di Renzi”.

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Marijuana, libertà e business. Denver scopre “l’oro verde”. Dal corrispondente Paolo Mastrolilli:

Il primo ad approfittarne è stato Sean Azzariti, 32 anni, veterano ella guerra in Iraq da cui è tornato col post-traumatic stress disorder. Alle 8 in punto della mattina di Capodanno si è presentato al 3D Cannabis Center di Denver, e per 59,74 dollari ha comprato tre grammi e mezzo di marijuana «Bubba Kush», più un pacchetto di cioccolatini aromatizzati all’erba. «Ce l’abbiamo fatta», ha gridato mostrando la ricevuta, dove c’era scritto pure «Grazie per il suo acquisto».
Sean sostiene che la marijuana gli serve a combattere il Ptsd, ed è stato uno dei volti simbolo della campagna per liberalizzarla. Gli altri clienti in fila con lui, però, non hanno più bisogno di alcuna giustificazione medica per averla, perché dal primo di gennaio la vendita e il consumo di «erba» sono diventati legali in Colorado, anche per semplici scopi «ricreativi». Ma la sfida è appena cominciata, perché il governo federale continua a considerare vietata la marijuana, mentre anche politici liberal come Patrick Kennedy sono impegnati nella campagna per rimettere il genio nella lampada e annullare la liberalizzazione.
Nel 1996 la California era stata la prima a legalizzare l’erba, solo per usi medici e con la ricetta. Altri 17 stati avevano seguito poi il suo esempio, ma nessuno si era spinto tanto lontano quanto il Colorado. Nel 2012, infatti, gli elettori hanno approvato l’Amendment 64, che va oltre la permissiva Amsterdam. I consumatori possono possedere fino a un’oncia di marijuana, cioè 28 grammi, crescere sei piante per uso personale, e comprarla in uno dei 37 negozi specializzati già aperti. Il governo federale ha abbozzato, fino ad un certo punto: l’erba può essere venduta anche ai non residenti, ma deve restare in Colorado ed essere consumata sul posto. Se un cliente la rivende, o la porta oltre i confini dello stato, finisce in galera, per evitare lo spaccio di seconda mano e la violazione del divieto federale ancora in vigore. Entro la primavera, però, anche lo stato di Washington seguirà le orme del Colorado, aprendo i suoi shop. Naturalmente il successo è stato immediato.

In Svizzera o a Parigi, ipotesi trasferimento per Schumacher. Articolo di Stefano Mancini:

Michael Schumacher ha un vicino di camera che ha avuto un incidente uguale al suo: ha sciato per pochi metri nella neve non battuta tra due piste, ha urtato un sasso e si è schiantato contro una roccia. L’unica differenza è che ha battuto la schiena invece della testa e ha rischiato la paralisi, ma per i medici tornerà a camminare come prima. E’ successo il 27 dicembre a Courchevel, sulle Alpi francesi, nello stesso comprensorio di Méribel dove sciava l’ex campione. Anche lì, nessun divieto né segnale di pericolo. Nel reparto di Rianimazione dell’Ospedale universitario di Grenoble, i genitori di Vittorio, 33 anni, italo-francese, condividono ansie, speranze e piccoli momenti di quotidianità con i familiari di Schumacher. Ieri raccontavano di aver visto facce più serene, di aver scambiato gli auguri con il fratello Ralf, di aver visto qualche sorriso. Vittorio era stato portato in sala operatoria domenica scorsa ed era rientrato in camera prima dell’anestesia per dare la precedenza a Schumacher che era in pericolo di vita. Il suo incidente potrebbe rientrare nell’inchiesta sulla sicurezza degli impianti aperta dal procuratore di Albertville, Patrick Quincy.
Secondo una nuova ricostruzione, Schumacher sarebbe uscito dalla pista per andare ad aiutare una bambina figlia di un amico che era caduta: un gesto di solidarietà che gli avrebbe fatto sottovalutare il pericolo. Versione che Quincy non conferma.

Il Fatto Quotidiano: “Fiat-Chrysler, ecco il trucco”.

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L’editoriale di Furio Colombo:

Un colpo da maestro che lascia stupite le Borse e ammirati i manager. Gli azionisti della Fiat di Torino (Italia) hanno l’intero pacchetto azionario della Chrysler di Detroit (Stati Uniti d’America), dopo avere acquistato dal Fondo pensioni dei sindacati americani ciò che mancava e averlo pagato, per due terzi, con i soldi della Chrysler e per il resto con liquido Fiat, senza avventure bancarie e senza aumenti di capitale. Da questo momento, la terza industria automobilistica americana è italiana. O è avvenuto il contrario? O è accaduto che la Fiat sia diventata la parte minore ed estera di una grande azienda americana? Naturalmente il discorso non riguarda la proprietà, saldamente controllata dagli azionisti italiani (in passato un simbolo importante come una bandiera). E non riguarda neppure il trasloco. Mirafiori resta a Mirafiori e il Lingotto resta al Lingotto, con qualche dubbio (ma tipico del brutto momento) per le sedi minori. Certo, un flash di telefonino potrebbe dirci, in qualunque momento, che il quartier generale, per ragioni di agilità logistica, non è più a Torino. Il fatto è che, mentre l’immensa operazione (Torino o Detroit) restava in bilico, si potevano lasciare in sospeso gli investimenti, gli insediamenti, i milioni di ore di cassa integrazione, la non produzione e le non vendite italiane, mentre Detroit filava (e fila) a gonfie vele. Ma vi sarete accorti che, nel corso di una crisi tutta economica e tutta industriale, di Fiat, del suo peso, del suo futuro italiano, non si è mai discusso. Globalizzazione? Delocalizzazione?

Il Giornale: “Asse Renzi-Berlusconi”. L’editoriale di Alessandro Sallusti:

Renzi ha iniziato il suo gioco con il governo Letta-Alfano. È il gioco del gatto col topo, una danza di accerchiamento, un po’ lusinghe, un po’ minacce e zeppa di tranelli. Ieri il segretario Pd ha messo sul tavolo tre proposte per la riforma elettorale. In un mese – ha detto – una di queste può andare in porto con l’aiuto di chi ci sta. Possibile lettura non auto­rizzata ma verosimile: entro un mese vo­glio sciogliere il Parlamento e andare a votare con me candidato premier. Per il povero topo-Letta inizia quindi il conto alla rovescia. È completamente tagliato fuori dalla trattativa e lo scudo del Quiri­nale, suo grande e unico sponsor, non sembra più impenetrabile. Nella sua operazione Renzi cerca, e trova, sponda in Berlusconi, che sull’argomento or­mai è esplicito: ci sto – ha commentato ieri – se è certo che a maggio si va a vota­re oltre che per le europee anche per le politiche. Grillo fa il Grillo: ufficialmen­te sbraita e insulta Renzi, dietro le quin­te studia la pratica e non chiude comple­tamente la porta della trattativa ufficio­sa

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Gianluca Pace