
ROMA – “Li vedi sgusciare alla spicciolata dai cancelli del centro d’accoglienza – scrive Andrea Sceresini della Stampa – Aspettano il tramonto, si muovono a piccoli gruppi: uomini, donne, bambini, intere famiglie. Hanno le mani cariche di zaini, valigie e sacchetti di plastica, perché è tutto ciò che hanno. Si infilano nelle viuzze buie, sotto gli occhi sempre vigili delle vedette. I trafficanti li aspettano immobili, in fondo a un parcheggio semi deserto. Si fanno pagare, li caricano in macchina e accendono il motore”.
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È una scena che si ripete senza sosta, tra le palazzine grigie di via Antonio Aldini, a Quarto Oggiaro. Ogni notte, in questo angolo scrostato di periferia milanese, decine di siriani si imbarcano per l’ultima tappa del loro infinito viaggio della speranza: destinazione, la Germania, la Svezia, l’Europa del nord. È un tragitto complesso e clandestino, e non sempre le cose vanno come dovrebbero. Le regole sono chiare: chi ha molti soldi può stare tranquillo, a tutto il resto ci pensa il racket.
Via Antonio Aldini non è un luogo qualunque. Qui, dall’ottobre 2013, ha sede il più grande centro d’accoglienza allestito dal Comune di Milano: una ex scuola elementare affidata ai volontari della Fondazione Progetto Arca, che ogni giorno può accogliere circa cinquecento persone. Quando approdano in Stazione Centrale – reduci dalla traversata del Mediterraneo e da un estenuante viaggio in treno attraverso lo Stivale – loro quel nome lo conoscono già: «Aldini», ripetono, e lo pronunciano come fosse una parola araba, «Al-Dini». Significa «il religioso», dovrebbe essere di buon auspicio.
Sono 24mila i siriani sbarcati a Milano nel corso degli ultimi undici mesi. Ad essi si aggiungono diecimila eritrei e qualche centinaio di palestinesi. In totale: oltre 36mila persone in fuga dalla guerra. Di questi, solo 41 hanno fatto richiesta di asilo politico in Italia. Gli altri hanno deciso di proseguire verso Nord: il più delle volte, finendo nelle grinfie del racket.«Milano, grazie all’apporto di operatori e volontari e cittadini, ha messo in piedi una magnifica testimonianza di solidarietà – dice l’assessore alle Politiche Sociali, Pierfrancesco Majorino – Il flusso è in continuo aumento, con mezzo migliaio di nuovi arrivi al giorno. Oggi possiamo contare su una decina di centri di accoglienza. È un’emergenza non facile da fronteggiare. I profughi vogliono raggiungere il Nord Europa e lì chiedere asilo politico, ma ancora non hanno un permesso di transito e quindi si affidano ai trafficanti. L’istituzione di un pass è l’unica via per bloccare il racket».
Hassan – 43 anni, una moglie e tre figli, di professione ingegnere informatico – non ha paura a dire le cose come stanno: «Resteremo in via Aldini per un paio di giorni – spiega – Il tempo di riposarci e di prendere i necessari contatti. Poi pagheremo ciò che si deve pagare: vogliamo andare in Danimarca».
Le tariffe sono molto care: dai seicento agli ottocento euro a cranio per gli adulti, circa la metà per i bambini. Cifre che, se moltiplicate per il numero degli arrivi, possono dare un’idea approssimativa del giro d’affari: un ghiottissimo business a sei zeri. Le trattative avvengono alla luce del sole, tra i tavoli di un kebabbaro, a un centinaio di metri dal centro d’accoglienza: il capofamiglia siede con i trafficanti, mentre la moglie e i figli mangiucchiano patatine in attesa del verdetto. La partenza avviene spesso di sera, tra le 20 e mezzanotte. Oppure il mattino presto, prima dell’alba.
I profughi scendono in strada e si presentano nel luogo prestabilito, dove li attendono automobili e minibus. L’organizzazione è puntigliosa: metà pagamento alla partenza, metà all’arrivo. Il 50% dell’incasso va all’autista, il resto ai boss, che a quanto risulta sarebbero di nazionalità egiziana: e poi, c’è da pagare le vedette, spesso armate di coltello ed equipaggiate con uno scooter. Ciò che avanza viene reinvestito: ci si procura nuove automobili e nuovi autisti.
«I conducenti sono spesso comunitari, italiani o romeni – spiega il presidente di Arca, Alberto Sinigallia – È capitato che i trafficanti abbiano cercato di intrufolarsi all’interno del centro: ci siamo dovuti tutelare aumentando i controlli e chiedendo l’intervento delle forze dell’ordine. L’unica soluzione sarebbe munire i profughi di un permesso di transito temporaneo: finché non verrà preso questo provvedimento il racket continuerà a proliferare, perché ad oggi, purtroppo, è uno dei ricatti a cui queste persone, già vittime della guerra, devono sottostare per proseguire il viaggio verso una nuova vita».
