
MILANO – Da qualche tempo fuori dai magazzini del San Raffaele c’è una bilancia. La usano per pesare i cartoni con siringhe, garze e pannoloni che devono essere caricati sui camion diretti in discarica. Siccome lo smaltimento dei rifiuti speciali viene pagato a chilo, è meglio controllare che nessuno arrotondi a scapito dei conti dell’ospedale. Neppure un euro dev’essere (più) sprecato.
Scrive Simona Ravizza sul Corriere della Sera:
Altri tempi sotto la Cupola su cui svetta l’arcangelo Raffaele che, con i suoi 8,3 metri d’altezza, è diventato il simbolo degli sperperi dell’era di don Luigi Verzé. Adesso viene spulciata ogni clausola dei contratti d’appalto alla ricerca di risparmi: l’ospedale è stato acquistato l’11 maggio 2012 dal Gruppo San Donato, che fa capo alla famiglia dello scomparso Giuseppe Rotelli (oggi il figlio Paolo è vicepresidente). Il bilancio è passato da un (profondo) rosso di 65 milioni di euro a un (quasi) pareggio: gli ultimi dati registrano una perdita inferiore ai due milioni.
Così l’operazione di salvataggio è diventata, mese dopo mese, l’emblema di come nella sanità sia possibile tagliare gli sprechi senza ridurre la qualità delle cure. Marco Carrai, manager vicino al premier Matteo Renzi e considerato il suo Gianni Letta, aveva citato l’esempio un mese fa su Milano Finanza : «L’azione di risanamento del San Raffaele ha portato a un livello di efficienza questo istituto che, se fosse preso a benchmark di riferimento per la sola Regione Lombardia, vi sarebbero risparmi nel settore di 1,8 miliardi annui. Considerando che la Lombardia rappresenta il 9% del settore in Italia i conti sono presto fatti». Parole che oggi — mentre Renzi invita le Regioni a ridurre gli sprechi e i governatori minacciano ripercussioni nefaste sulla sanità — sono più che mai d’attualità.
Ma prendere esempio dal risanamento del San Raffaele per i tagli alla sanità significa innanzitutto non dare nulla per scontato. Il nuovo amministratore delegato, Nicola Bedin, insieme con i suoi fedelissimi, s’è reso conto persino, per dire, che veniva pagata inutilmente la pulizia di due piani dell’ospedale: una (piccola) scoperta che gli ha permesso di rinegoziare le condizioni economiche dell’appalto con l’impresa di pulizie. Non è andata meglio alla ditta di telefonia. I due vecchi contratti di fornitura — uno per la rete fissa, l’altro per i cellulari — sono stati unificati ed è stato spuntato un prezzo migliore: ora le telefonate dei medici e dei manager tra i cellulari e i numeri fissi dell’ospedale (e viceversa) sono gratuite. Il servizio di assistenza per i computer è stato internalizzato a costo zero, dirottando lavoratori già assunti. Esempi che si possono moltiplicare: la manovra di rinegoziazione dei contratti d’appalto per la fornitura di servizi (come pulizie, mense, energia) ha portato a un taglio dei costi tra il 10% e il 35%. In euro vuol dire oltre 20 milioni. Solo uno (sui 10 spesi) è stato risparmiato nell’acquisto del gas metano, che fa funzionare il cogeneratore per il riscaldamento e l’elettricità.
C’è una verifica puntuale di tutto ciò che si trova nei magazzini: oggi è impossibile lasciare scadere anche solo una scatola di farmaci. E non viene perdonato neppure l’utilizzo superficiale di materiale da sala operatoria: il volume dei consumi è tenuto sotto controllo e, se i dati si discostano dagli standard, scatta la caccia allo spreco. Trattative serrate hanno portato a prezzi migliori anche per l’acquisto di defibrillatori e pacemaker. La spesa per l’acquisto di beni, in generale, è stata ridotta tra il 10% e il 20%. Il che vuol dire altri 20 milioni.
Quindici milioni sono stati risparmiati — dopo estenuanti trattative sindacali — dallo stipendio dei lavoratori, con una riduzione del 20% dei dirigenti e con un piano straordinario di smaltimento ferie. Insomma: basta premi, superminimi e altri benefit concessi nell’epoca di don Luigi Verzé senza garantirne la copertura economica. La busta paga base, comunque, non è mai stata messa in discussione (…)
