Grande polverone: “Novità sul lavoro e partite Iva” (Corriere della Sera), “Salario minimo per collaboratori a progetto” (Sole 24 Ore) con “buonuscita” (Mattino), “Un miliardo per i poveri” (Repubblica): non è quel che ci ha chiesto la Bce, la cui inadempienza ha portato alla caduta di Berlusconi, ma Mario Monti, santo e primo ministro, fa finta di niente e promette: “Realizzerò il mio mandato” (Messaggero, Corriere della Sera, Secolo XIX).
Intanto però “le multe ci inseguiranno in tutta Europa” (Italia Oggi), i valori immobiliari calano (Giornale) per effetto Imu (dopo un 2011 di prezzi stabili), le aziende sono strozzate dai mancati rimborsi Iva su cui tutto quel che fa il Governo è che “prova ad accelerare” (Sole 24 Ore).
La cosa più grave di tutte la scrive Enzo Marro sul Corriere della Sera. Il titolo è a una sola colonna: “Le incertezze (inutili) sugli esodati. Ora si decida”. Ma pesa più di tutti gli annunci e le promesse a vuoto in cui Monti e i suoi principali ministri eccellono e battono alla grande anche Berlusconi. Scrive Marro che ci sono ben 200 mila lavoratori che rischiano di restare senza stipendio né pensione dopo la riforma previdenziale e il Governo questo lo sapeva “dall’inverno scorso”.
A destra sono nel pallone. La pancia del Pdl vuole andare contro Monti, attribuendo al sostegno a questo Governo delle tasse una delle cause della crisi elettorale di un partito che per 20 anni ha promesso di ridurle (ma l’unico che le ridusse davvero, probabilmente a sua insaputa, fu Vincenzo Visco) e invece le ha alzate. Berlusconi però non vuole e la lettura dei giornali di oggi fa capire perché. “Ruby, lo schiaffo di Monti” è il titolo di apertura del Fatto Quotidiano: come si sa, il braccio di ferro è attorno alla legge anti corruzione e all’emendamento del Pdl che vuole limitare la concussione ai casi in cui ci sia passaggio di denaro, il che, tradotto, vuole dire che cade il reato attorno a cui Berlusconi è processato a Monza per essere intervenuto sulla Questura di Milano a favore di Ruby “nipote di Mubarak”. Tutto sembrava a posto, ma ora il ministro della Giustizia Paola Severino dice no. La lettura di Repubblica fa capire. Pagina 7: Berlusconi “blocca la fronda. Avanti con Monti fino al 2013”; pagina 6: “Riforme o Paese ingovernabile”. Soluzione a pagina 10: “Anti corruzione, barricate del Pdl”; “Allarme Severino: la legge è a rischio”; Berlusconi “non strappa le norme salva-Ruby. Così non va, guai se chiedono la fiducia. Se questa legge passa nella versione attuale, danneggia me e le mie aziende”.
In questa luce, fa tenerezza Libero: “Centrodestra, sveglia. Si può vincere. Il voto si avvicina, proibito consegnare il Paese a Bersani. È necessario fare pulizia, dare spazio ai giovani, allearsi con Casini e trovare un nuovo leader. Difficile ma non impossibile”.
L’ha preso sul serio Daniela Santanché “Potrei candidarmi per diventare premier. Aspetto lo dica Silvio” (Corriere della Sera, pag. 9)
A sinistra sono nel pallone anche loro, non si capacitano di Grillo e già litigano sul futuro capo del Governo, come se avessero già vinto le elezioni, naturalmente anticipate.
Intanto Beppe Grillo gode l’amarezza del trionfo. C’è da dubitare che il suo Movimento sarebbe arrivato a qualcosa senza di lui, simpatico o antipatico che sia il personaggio. Eppure adesso hanno tutti perso la testa, inebriati dall’elisir della diretta tv. Così, informa il Secolo XIX, i suoi seguaci ora strillano: “Grillo non è il leader” e indicono un “referendum contro il divieto di interviste in tv”, tema su cui, peraltro, ha sacrosanta ragione Grillo.
Sintetizza Valentino Parlato sul Manifesto: causa effetto destabilizzatore delle amministrative, “il Governo Monti è preso in mezzo”.
Come si può dare torto al presidente americano Barack Obasma quando dice: “La crisi Ue può contagiarci”? (La Stampa).
Anche perché appariamo senza speranze. L’International Herald Tribune, edizione mondiale del New York Times, ha un titolo che può illudere: “La linea tedesca sulla austerità sembra ammorbidirsi”. Ma non è il caso di sognare: l’ammorbidimento riguarda solo i tedeschi. Angela Merkel sarebbe disposta a accettare un filo di inflazione in più per consentire qualche aumento di retribuzioni e prezzi. Anzi, la sostanza è amara per noi, perché la condizione è che “la media dell’eurozona rimanga sugli obiettivi”.
Mentre si attenua il botto di Damasco, che ha provocato oltre 50 morti in una delle città più antiche e mitiche del mondo, uno scandaletto locale trova strada solo sulla prima pagina del Fatto Quotidiano. Un pentito afferma che il regista “Garrone pagò i bodd per girare Gomorra a Scampia. 20 mila euro e tutto filò liscio come l’olio”. Silenzio imbarazzato da altre parti.
Lo sport scivola sempre più nella cronaca nera con lo scandalo delle scommesse. oggi si scopre che c’era ci progettava “ritorsioni contro i calciatori e i cronisti che avevano denunciato lo scandalo”: “Mettiamo una bomba a repubblica, magari finiamo tutti in galera ma almeno quello lo uccidiamo”. I giornalisti che danno fastidio sono più di uno, ma per Repubblica la scelta di “quello” è fra Giuliano Foschini e Marco Mensurati.
Lo sport si tinge di rosa sulla Gazzetta dello Sport, ma solo per il colore della carta, perché anche senza scandali i problemi sono grossetti: “Milan caccia ai soldi, soci arabi o borsa di Hong Kong”. Si vede che Berlusconi ha perso il tocco magico e si rifugia in Carosone (“Pasqualino maragià”) e nella imitazione di Prada.
E che ha perso il tocco magico lo si vede anche dalle scelte sul mercato non solo di alcuni onorevoli, ma anche dei calciatori. Non solo, per pura tirchieria, ha ceduto Kakà, ma ha anche lasciato andar via Andrea Pirlo, universalmente ritenuto uno dei propulsori dello scudetto della Juventus. Oggi, sulle ali della gloria, Pirlo salda i conti. Per la Gazzetta dello Sport è un titolone quasi a tutta pagina: “Grazie Allegri. Sono stato scaricato dal tecnico, ho scelto la Juve perché mi dava motivazioni importanti”.
Più sobria la Stampa con una manchettina in alto a destra, ma non meno crudele: “Questa Juve vale già la Champions”, si allarga forse un po’ troppo Pirlo. E poi affonda: “La vendetta del regista: al Milan avevano deciso che non servivo. Sapevo che in bianconero avrei vinto”.