ROMA – “Noi sudafricani siamo fortunati ad averlo avuto con noi, ad aver visto una persona così camminare sulla nostra stessa terra. Ecco, solo questo posso dire se mi chiede qual è oggi il mio primo pensiero: perché se dovessi provare a spiegare tutto quello che ho avuto da lui, io che sono fra le persone che hanno avuto l’onore di conoscerlo di persona, credo che non ci riuscirei”.
Dalla sua casa di Johannesburg la voce di Nadine Gordimer, la più grande scrittrice sudafricana vivente, la donna che per anni ha raccontato al mondo la lotta del suo paese contro l’Apartheid, arriva calma e controllata: come milioni di connazionali, era preparata all’annuncio della morte di “Madiba”, come lo chiama per tutto il tempo.
Scrive Francesca Caferri su Repubblica:
Signora Gordimer, che eredità lascia Mandela al mondo?
«Madiba era un democratico naturale, una cosa piuttosto inusuale in Africa. In un continente che ha lottato per decenni per liberarsi dalla dominazione straniera e raggiungere la libertà, è raro trovare qualcuno che non basi la sua azione sull’odio o il risentimento. Lui invece lo faceva: vedeva le persone come esseri umani, bianchi o neri che fossero, li osservava con mente aperta per arrivare a capire la loro essenza. Non era un modo di fare costruito, cerebrale: era qualcosa di insito nelle sue ossa, nel suo cuore. Non inseguivala tolleranza, ma il mutuo riconoscimento».
Lei è una delle poche persone al di fuori della famiglia che ha avuto contatti con lui fino agli ultimi mesi: c’è un ricordo personale che vuole condividere?
«L’ultima volta che l’ho visto, saranno stati 18 mesi fa. Era stato George Bizos, il suo avvocato, la sua ombra, a invitarmi a colazione da lui. La colazione era il pasto preferito di Madiba, ma lui si alzava tardi, e così l’appuntamento era per le 11: una sorta di brunch. Abbiamo mangiato poi ci siamo seduti in salone, lui nella sua solita poltrona speciale, un po’ disteso. Non camminava, parlava poco, molto lentamente, faceva delle lunghe pause: ma capiva tutto. A George chiedeva degli amici, poi si rivolgeva a me, poi tornava a George: voleva sapere dell’ANC, delle discussioni interne. Voleva essere informato, non gli piaceva che tante persone che avevano lottato contro l’Apartheid fossero oggi state allontanate dal partito, era deluso. Sapeva che i suoi gli tenevano nascoste molte cose, per non turbarlo: così chiedeva a noi. (…)
Ha parlato di delusione: cosa amareggiava Mandela?
«Il livello di corruzione che permea ogni livello del governo e della macchina economica del Sudafrica gli creava profondo dolore: Madiba non si è mai interessato ai soldi, non ha mai cercato di favorire i suoi amici o i suoi familiari. Viveva in una casa grande e confortevole, non in una enorme e lussuosa villa. Era davvero deluso: se lui fosse stato ancora in forze nessun membro dell’ANC si sarebbe potuto permettere di rubare comeinvece hanno fatto in tanti» (…)