ROMA – Saggi, l’altolà dei partiti. La Stampa: “Non piace ai partiti la mossa del Quirinale di costituire due commissioni di saggi che dovranno occuparsi dei temi economicosociali e istituzionali. Il Colle parla di «iniziativa informale, dai tempi limitati». Insoddisfatti Pdl, che chiede le elezioni, e M5S. Dubbi nel Pd.”
I saggi al lavoro. Ma tra i partiti cresce il malumore. L’articolo a firma di Francesco Grignetti:
“La mossa inedita di costituire due commissioni di «saggi», che proprio stamattina cominceranno i loro lavori al Quirinale, alle 11 gli esperti di questioni economico-sociali ed europee e poi alle 12 quelli che si occuperanno di questioni istituzionali, non piace più di tanto ai partiti. Tanto che il Quirinale sente necessario chiarire con nota ufficiale e una ufficiosa. Quella ufficiale sancisce: «Risulteranno evidenti sia il carattere assolutamente informale e il fine puramente ricognitivo dell’iniziativa assunta dal Presidente della Repubblica sia i limiti temporali, d’altronde ovvi, dell’attività dei due gruppi». Le prime riunioni stesse «offriranno anche l’occasione per ogni ulteriore chiarimento opportuno, di fronte a commenti nei quali ai più larghi apprezzamenti si sono accompagnati non solo legittimi dubbi e scetticismi ma anche timori e sospetti artificiosi e del tutto infondati». In tutta evidenza, Napolitano ce l’ha con chi l’ha addirittura accusato di avere fatto un colpo di Stato (vedi i giornali di destra).”
Napolitano replica ai sospetti “Non sto perdendo tempo”. L’articolo a firma di Federico Geremicca:
“Cosa è accaduto, dunque, nelle ore in cui gli italiani tiravano un fiato per la domenica e il lunedì di Pasqua? Si possono fare, naturalmente, diverse ipotesi: ma diciamo che su al Colle non c’è grande interesse ad approfondirne alcuna. A metà pomeriggio, infatti, una nota ufficiosa del Quirinale spiega il senso dell’operazione-«facilitatori» e non sposta la questione di una virgola. Anzi. «Sospetti artificiosi e del tutto infondati», è la replica della Presidenza ai dubbi (malevoli) sollevati. «Risulteranno evidenti», si aggiunge, il carattere informale, il fine ricognitivo e «i limiti temporali» dell’azione delle due Commissioni. Il chiarimento circa gli ambiti e i tempi del lavoro dei «facilitatori», non deve esser inteso – però – come una retromarcia o una riduzione dell’attività delle Commissioni. Tanto che ad Angelino Alfano, che chiede al Presidente di riaprire le sue consultazioni, fonti del Quirinale replicano con nettezza: «Se il Pdl ha cambiato posizione rispetto a quella espressa nei colloqui avuti con il Presidente, lo dica. Altrimenti non ha senso che il Capo dello Stato si senta ripetere quel che già sa…».”
Berlusconi teme l’inganno e pensa alle urne. L’articolo a firma di Ugo Magri:
“Passa un giorno, passa l’altro, ma questi segnali che il Cavaliere si attende non arrivano, anzi. Cosicché lui diventa sempre più impaziente e nervoso. Gli avevano raccontato che, una volta fallito Bersani, nel Pd sarebbero corsi a frotte verso le larghe intese. E che questi potenziali alleati del Pdl non vedevano l’ora di venire allo scoperto con pubbliche dichiarazioni… Viceversa, nemmeno una voce importante (tolto Renzi) si è dichiarata a favore di «governissimi» o di soluzioni del genere. Cosicché Berlusconi incomincia seriamente a dubitare di essersi illuso. E addirittura a domandarsi se questa trovata dei «saggi» non sia in realtà un trappolone teso a lui, una maniera sofisticata di perdere tempo e di rendere impossibili eventuali nuove elezioni prima dell’estate che il centrodestra, manco a dirlo, sarebbe sicuro di stravincere… Per cui la sera di Pasqua Silvio era agitatissimo e pronto a diffondere un duro comunicato stampa in cui, sostanzialmente, avrebbe detto: cari signori, poiché questi comitati di «saggi» non servono a nulla, facciamola finita e votiamo non appena si può. Gianni Letta, Bonaiuti e pochi altri l’hanno dissuaso dal gesto di impazienza cui lo spingevano i «falchi» guidati dal solito Brunetta. Decisiva la motivazione che è ottima regola non guastare le feste degli italiani, già così faticose, e soprattutto i mercati (che stamane avrebbero riaperto in un clima di tregenda). Contemporaneamente, qualcuno s’è messo in contatto con Napolitano per invitarlo a chiarire e a precisare meglio il ruolo dei «saggi»: cosa cui il Colle ha puntualmente provveduto nel pomeriggio di ieri. Stabilendo che il loro compito è solo di approfondimento, e comunque non si trascinerà in eterno.”
Le colombe del Pd si schierano con il Colle. L’articolo a firma di Carlo Bertini:
“«Il Pd – dice Gentiloni – non si metterà a discutere delle vicende interne fin quando non sarà sciolto il nodo della legislatura e del governo. Il punto di equilibrio nel Pd deve essere il sostegno “senza se e senza ma” allo sforzo che sta facendo Napolitano». Un’uscita dettata dalla preoccupazione che le grida al «golpe» da parte del pdl e una certa freddezza dimostrata dai bersaniani possano indebolire questo tentativo: da qui l’esigenza di «difendere il lavoro portato avanti dal presidente della Repubblica che non va reso complicato, visto che già è difficile. Male che vada sarà un lavoro istruttorio che utilizzerà il suo successore». Insomma i renziani subordinano la tregua di facciata che ancora vige nel partito, che forse dovrà convocare una direzione nei prossimi giorni, all’atteggiamento benevolo nei confronti dei «saggi» e del loro compito. E anche un veltroniano doc, come Walter Verini si muove sulla stessa lunghezza d’onda, a riprova che le acque nel Pd si muovono sotto la superficie più di quanto appaia. Perché Verini parla al Pdl perché anche i pasdaran del suo partito colgano il messaggio: «Ipotizzare di precipitare verso le elezioni senza cambiare la legge elettorale, come fanno in coro gli esponenti del partito di Berlusconi, è un atteggiamento irresponsabile. Tornare a votare con il porcellum riprodurrebbe infatti, con molta probabilità, la stessa situazione di paralisi e di stallo. E il sistema istituzionale potrebbe davvero collassare».”
Allarme Tares: servono 2 miliardi. L’articolo a firma di Raffaello Masci:
“La Tares – per chi si fosse perso questa nuova sigla – è la nuova tassa in cui confluiranno tutti i tributi relativi allo smaltimento dei rifiuti, una nuova versione di quella che in alcuni comuni si chiamava Tarsu e in altri Tia (nella duplice edizione Tia 1 e Tia 2): da una parte era tassa, altrove tariffa. Un pastrocchio. Il decreto dell’ottobre 2011 sul federalismo fiscale ha pensato bene di omologare questo prelievo, ribattezzandolo Tares ma, dato che c’era, ha anche fornito le modalità di calcolo metri quadri, quantità di rifiuti, tipo di rifiuto e relative modalità di smaltimento – e, per quel che ci riguarda, questo sapiente maquillage si è risolto in un aumento che si aggira sul 30%. La Tares dovrebbe entrare in vigore il prossimo primo luglio ma un coro di soggetti sociali ha invocato la clemenza di un rinvio.Il governo dimissionario, però, non se l’è sentita – almeno questo si dice – di prendere una decisone su un eventuale posticipo, essendo, per l’appunto, in carica solo per la normale amministrazione. Fin tanto che il Quirinale non lo ha reinvestito nei giorni scorsi di una sua pienezza di azione, considerando che lo stallo politico non si sa quanto potrebbe durare, e quindi una parola definitiva sulla Tares non sembra ulteriormente rinviabile.”
Occhio, ci rifilano Prodi. Il Giornale: “Pd e Grillo pronti all’intesa sull’ex premier al Quirinale. In alternativa spunta persino la Boccassini Destra e sinistra contro i saggi. E Napolitano fa una mezza retromarcia: solo consulenti e a tempo limitato. Il Pdl: ci ingannano mentre la casa brucia, torniamo al voto.” L’articolo a firma di Vittorio Feltri:
“Mentre i saggi cominceranno il loro lavoro, presumibilmente inutile al fine di agevolare la formazione del governo, i partitisi daranno da fare per selezionare l’uomo sbagliato da mandare al Quirinale, diventato ormai il fulcro della politica. Lo abbiamo già detto e lo ribadiamo: la Repubblica presidenziale, tanto invisa alla sinistra di origine comunista, e cara alla destra di ogni tempo, è stata di fatto realizzata da Giorgio Napolitano, migliorista, già dirigente di spicco del Pci. Un controsenso? Sì. Ma necessario, dato che il sistema parlamentare, imbastardito da leggi elettorali scritte a capocchia e irresponsabilmente varate, non funziona più. Lo sanno tutti, pochi lo ammettono apertamente.Il Colle ha acquisito un’importanza strategica inimmaginabile solo qualche anno fa. Lo si vede in questi giorni. Dinanzi al problema della successione di Napolitano, persino quello dell’esecutivo, difficile da risolvere in mancanza di una maggioranza, è passato in secondo piano. L’attenzione dei politicanti d’ogni seme è concentrata sulla più alta carica dello Stato. Il Pdl punta su un personaggio non pregiudizialmente ostile a Silvio Berlusconi e che garantisca equidistanza tra i vari schieramenti. Il Pd desidera poter contare su un amico, meglio ancora: un compagno. E il Movimento 5 stelle gradirebbe un signore della cosiddetta società civile, non implicato in interessi di partito.”
Partiti uniti dai saggi: nessuno li vuole. L’articolo a firma di Francesco Cramer:
“Ma anche dalle parti del Pd i toni sono scettici. «I saggi? Possono aiutare ma non possono sostituire il luogo in cui certe decisioni si devono prendere, ovvero il Parlamento, né mi paiono una soluzione risolutiva», li ha stroncati Franceschini. E pure per Edoardo Patriarca è pollice verso: «Il lavoro dei saggi avrà senso se darà risposte alle difficoltà delle famiglie e delle imprese- dice- poi, la parola dovrà tornare alla politica, con un governo nel pieno dei suoi poteri ». Stesso concetto di Alessandra Moretti: «Noi insistiamo per un esecutivo di tipo politico. L’elettorato si è espresso per questo esecutivo e per un esecutivo di forte cambiamento. Abbiamo proposto Bersani per avviare una fase di riforme economiche e istituzionali, vediamo se poi, terminato il lavoro dei saggi, questa opzione tornerà a essere fattibile». Neppure ai grillini piace il pool del Colle. Dopo che Grillo li aveva stroncati definendoli «fantomatici negoziatori» e «badanti della democrazia», ieri è stata la senatrice Paola Nugnes a picchiare duro: «Golpe bianco? Parlamento commissariato, ancora non mi è chiaro cosa dovranno fare questi “saggi” e come opereranno, su cosa», scrive la senatrice pentastellata su Facebook . Il pool ha già fatto flop.”
La «presidente di ferro» che guida Seul alla guerra. L’articolo a firma di Livio Caputo:
“Park Geun Hye, 61 anni, prima donna presidente della Corea del Sud, e finora considerata cauta e misurata, ha dimostrato ieri di avere la stessa tempra di suo padre, il dittatore che regnò con pugno di ferro sulla nazione asiatica dal 1961 al 1979 e presiedette alla sua trasformazione da arretrato Paese agricolo in grande potenza industriale. Di fronte alle reiterate minacce di attacco e alla provocatoria «cancellazione » dell’armistizio del 1953 da parte di Kim Jong-un, il giovane dittatore del Nord, ieri ha risposto per le rime. «Considero queste minacce molto serie », ha detto ai suoi generali, ordinando loro «una risposta forte e immediata a qualsiasi provocazione da parte della Corea del Nord, senza considerazione per le sue conseguenze politiche ». Questo significa che, al contrario di quanto è avvenuto in passate occasioni, in particolare nel 2010 quando i nordisti affondarono una corvetta sudista senza subire ritorsioni, l’esercito di Seul reagirà automaticamente, prima ancora di ricevere ulteriori ordini presidenziali: e nella penisola coreana potrebbe riaccendersi il conflitto terminato 60 anni fa, ma rimasto sempre latente lungo quel 38˚ parallelo considerato il confine più militarizzato e pericoloso del globo. La presa di posizione della signora Park segna il culmine di una settimana di tensione crescente, contrassegnata da una raffica di minacce di Kim non solo alla Corea del Sud, ma anche agli Stati Uniti, che hanno suscitato allarme nel mondo intero. Per ritorsione contro le annuali manovre militari coreano- americane e contro il nuovo round di sanzioni comminategli dall’ONU – con l’assenso anche dell’amica Cina – in seguito all’esperimento nucleare di febbraio, il ventottenne Kim, forse ansioso di consolidare il suo prestigio interno, ha cominciato a fare fuoco e fiamme: ha messo in massimo stato di allerta le sue unità missilistiche, ha preannunciato bombardamenti non solo alle basi statunitensi in Asia ma addirittura un attacco atomico contro il continente americano, ha proclamato un ritorno allo stato di guerra e tagliato le cosiddette «linee rosse » tra i due schieramenti, installate in tempi più tranquilli per evitare incidenti. Gli USA hanno reagito facendo sorvolare la penisola dai loro superbombardieri e annunciando l’installazione in Alaska di una catena di missili-intercettori, ma anche reiterando il loro invito a riprendere i negoziati per la denuclearizzazioine della penisola interrotti nel 2008. Secondo gli analisti del Pentagono, comunque, le minacce di Kim sono irrealistiche, perché la Corea del Nord, pur possedendo un imponente arsenale missilistico, non è ancora in grado né di raggiungere gli Stati Uniti e neppure di trasformare i duetre ordigni nucleari di cui probabilmente dispone in testate adattabili ai suoi razzi. Per quanto nessuno escluda la possibilità di un gesto di follia del giovane dittatore, gli americani sono più inclini a considerare i suoi discorsi non tanto una dichiarazione di guerra, quanto l’ennesimo tentativo di ricatto per ottenere gli aiuti alimentari di cui il suo Paese ha da sempre estremo bisogno: una tattica già usata, con successo, in passato.”
Mirko sì, Mirko no. La febbre Juventus si misura a colazione. L’articolo de La Gazzetta dello Sport a firma di G.B. Olivero:
“Con Vucinic Se Mirko recuperasse, Conte dovrebbe optare per il 3-5-1-1: Vucinic unica punta con lo scopo di favorire con la tecnica e i tempi di gioco gli inserimenti dei compagni. Alle sue spalle si muoverebbe Marchisio, come già accaduto in Coppa Italia contro la Lazio (il centravanti era Matri), mentre a centrocampo con Vidal e Pirlo ci sarebbe Pogba. Conte ha studiato questa soluzione proprio per non dover rinunciare al giovane francese che è già pronto, come dimostrato in Francia-Spagna (espulsione a parte), per essere protagonista nelle grandi partite. Pogba ha talento, fisico, personalità e sarebbe un saltatore in più nelle due aree: Conte teme l’abilità dei tedeschi nel gioco aereo e Paul sarebbe una validissima contromisura. Il piano B ieri mattina è diventato all’improvviso il piano A. Nell’allenamento di rifinitura, svolto lontano dall’Allianz Arena (che in serata ha ospitato solo una leggera sgambata), Vucinic e Pogba erano tra le riserve e Matri e Quagliarella tra i titolari. Alessandro e Fabio sono in forma e pronti a vivere un’altra serata di gloria. Con loro, evidentemente, cambierebbe lo scenario tattico: la Juventus giocherebbe con il classico 3-5-2 e Marchisio farebbe l’interno. Nella ripresa, anche in base all’andamento della partita, Conte avrebbe la possibilità di inserire Pogba e Vucinic (che dovrebbe garantire almeno 30′ di autonomia) chiudendo la sfida con il 3-5-1-1 che già si è visto sabato a San Siro negli ultimi minuti contro l’Inter. Il resto della formazione è praticamente fatto. Rispetto al campionato Lichtsteiner si riprende il posto a destra con l’obbligo di essere più attento del recente passato alla fase difensiva mentre a sinistra Peluso manda in panchina Asamoah per scelta tecnica e bravura nel gioco aereo. Ieri si è anche sparsa la voce della possibilità che, in caso di assenza di Vucinic, Pogba prendesse a centrocampo il posto di Marchisio. L’esclusione del Principino sarebbe clamorosa, nonostante l’avvicinamento a questa sfida sia stato in parte rovinato dalla tonsillite rimediata in Nazionale. Resta il fatto che Conte vorrebbe trovare un posto a Pogba. Ecco perché se stamattina Vucinic si alzasse pieno di energia, l’allenatore della Juventus sarebbe molto contento. Ma ieri sera c’era molto pessimismo.”