
Forse qualcuno ha detto a Papa Francesco che le chiese, soprattutto nelle grandi città, sono vuote non solo per il consumismo e il peccato dilagante, ma anche per colpa delle prediche: lunghe, spesso strampalate, molto spesso incomprensibili perché sempre meno numerosi sono i preti di lingua ,adre italiana. L’impegno è commovente, ma l’obiettivo è totalmente mancato.
Forse proprio per questo Papa Francesco si è mosso e ha scosso i suoi preti. Chi predica, prima deve
“lasciarsi commuovere dalla Parola e a farla diventare carne nella sua esistenza concreta”.
Ben 19 pagine su 220 dell l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, il documento programmatico del pontificato di Francesco, sono dedicate a come si fa una predica,
«perché molti sono i reclami»
al riguardo. L’omelia, spiega il Papa è la
«pietra di paragone per valutare la vicinanza di un pastore»
al suo popolo, ed è cruciale per la trasmissione del Vangelo, come hanno insegnato grandi vescovi predicatori, da Ambrogio a Giovanni Crisostomo. Oggi le prediche mattutine di Santa Marta sono una delle novità più significative del pontificato: brevi, efficaci, semplici, immaginifiche, comprensibili da tutti, scrive la Stampa di Torino.
Bergoglio ricorda che l’omelia
«è il dialogo di Dio col suo popolo»: non può essere «uno spettacolo di intrattenimento», non risponde alla logica mediatica, ma «deve dare fervore e significato alla celebrazione». Dunque sia breve ed eviti «di sembrare una conferenza o una lezione», per non danneggiare «l’armonia» tra le parti della messa. Chi fa l’omelia parli «come una madre a suo figlio», con «vicinanza cordiale». La predicazione «puramente moralista o indottrinante, e anche quella che si trasforma in una lezione di esegesi», riducono infatti la «comunicazione tra i cuori».
Il Papa invita a dedicare «un tempo prolungato» alla preparazione dell’omelia, perché un predicatore che non si prepara «è disonesto e irresponsabile verso i doni che ha ricevuto». Bisogna invece «prestare tutta l’attenzione al testo biblico», la Parola va venerata e studiata «con la massima attenzione e con un santo timore di manipolarla». È anche importante cogliere il messaggio centrale del testo. «Se un testo è stato scritto per consolare, non dovrebbe essere utilizzato per correggere errori… se è stato scritto per motivare la lode o il compito missionario, non utilizziamolo per informare circa le ultime notizie».
Il predicatore non deve poi cadere nella tentazione di «pensare quello che il testo dice agli altri, per evitare di applicarlo alla propria vita». E deve «porsi in ascolto del popolo» collegando «il messaggio biblico» con ciò che le persone vivono.
È importante anche il modo di trasmettere questo contenuto. Per rendere più attraente un’omelia, Francesco suggerisce di «imparare a parlare con immagini». Il linguaggio deve essere semplice, mentre troppo spesso accade che i predicatori usino «parole che hanno appreso durante i loro studi e in determinati ambienti, ma che non fanno parte del linguaggio» di chi ascolta. Per poter parlare alle persone bisogna «condividere la vita della gente e prestarvi volentieri attenzione». Il linguaggio poi deve essere «positivo»: «Non dice tanto quello che non si deve fare ma piuttosto propone quello che possiamo fare meglio», senza fermarsi «alla lagnanza, al lamento, alla critica o al rimorso».