Campi di addestramento Jihad in Bosnia. Papa Francesco li sfida: Italia a 2 ore di volo

Papa Francesco

ROMA – Papa Francesco è andato a sfidare i terroristi islamici della jihad a casa loro, in Bosnia e da Sarajevo ha lanciato il suo ennesimo appello per la pace mentre proprio a poche decine di chilometri alcuni di loro si stavano addestrando per sterminare i cristiani e per lanciare l’attacco in Europa. Siamo a 2 ore di volo dall’Italia.

Scrive Giovanni Giacalone del Giornale:  Dai Balcani continuano a giungere notizie poco rassicuranti sulla presenza di focolai jihadisti ed è ancora una volta la Bosnia a far notizia. Il sito serbo Novosti.rs ha reso nota l’esistenza di potenziali campi di addestramento degli estremisti islamici a soli 250 km da Belgrado, citando in particolare l’area di Osve, un remoto agglomerato wahhabita di poche case sperduto in mezzo alle montagne e alle foreste nel cantone Zenica-Doboj e luogo ideale per l’addestramento. Secondo Novosti.rs da qui sarebbe partita una dozzina di volontari unitasi alle file jihadiste in Siria. Bosnia Today ha invece reso noto che diversi jihadisti legati all’Isis avrebbero acquistato terreni nella zona di Osve; tra questi figurerebbero anche Jasin Rizvic (attualmente in Siria a combattere) e Harun Mehicevic, wahhabita con cittadinanza australiana e originario di Mostar, a capo del centro islamico “al-Furqan” di Springvale South, più volte finito nel mirino dell’anti-terrorismo australiano. Mehicevic pare sia in procinto di lasciare l’Australia per rientrare in Bosnia dove, secondo fonti serbe, avrebbe avuto contatti in passato con Avdullah Hasanovic, indagato per l’attentato dello scorso 27 aprile alla stazione di polizia di Zvornik. Le operazioni “Damasco” e “Ruben”, messe in atto dalla SIPA bosniaca a settembre 2014 e maggio 2015, gli arresti di diversi imam in Kosovo e Albania, in molti casi con legami diretti o indiretti con ambienti islamisti balcanici in Italia e i “pellegrinaggi” di Bilal Bosnic (tra gli arrestati) in vari centri islamici in Italia, da dove sono tra l’altro partiti per la Siria diversi volontari balcanici, sono tutti elementi che dimostrano la pericolosità di una rapida radicalizzazione di alcuni ambiti islamisti nei Balcani: un’escalation che va ormai ben oltre il livello ideologico-propagandistico e che io definisco “Spirale Balcanica” (…).

L’articolo del Tempo: “Il Signore benedica Sarajevo e la Bosnia ed Erzegovina” dove “ho apprezzato l’impegno di collaborazione e di solidarietà tra persone di religioni diverse, spronando tutti a portare avanti l’opera di ricostruzione spirituale e morale della società”. Lo ha detto all’Angelus Papa Francesco, rientrato ieri sera dal suo ottavo viaggio apostolico, che ha avuto per meta “una città-simbolo, che per secoli è stata luogo di convivenza tra popoli e religioni, tanto da essere chiamata Gerusalemme d’Occidente” ma che “nel recente passato è diventata simbolo delle distruzioni della guerra”. “Mi sono recato a Sarajevo, in Bosnia ed Erzegovina – ha spiegato il Papa – come pellegrino di pace e di speranza”. In questo paese del Balcani, ha aggiunto,” adesso è in corso un bel processo di riconciliazione, e soprattutto per questo sono andato: per incoraggiare questo cammino di convivenza pacifica tra popolazioni diverse; un cammino faticoso, difficile, ma possibile! Lo stanno facendo bene!”. “Rinnovo – ha poi concluso il Papa – la mia riconoscenza alle Autorità e all’intera cittadinanza per l’accoglienza calorosa. Ringrazio in particolare la cara comunità cattolica, alla quale ho voluto portare l’affetto della Chiesa universale. E ringrazio anche le altre comunità: gli ortodossi, i protestanti e gli ebrei che lavorano insieme come veri fratelli”. “Leggo lì bentornato, grazie!”, ha aggiunto a braccio Bergoglio in dialogo con i fedeli che gremivano piazza San Pietro. “A tutti auguro – ha poi concluso – una buona domenica. Per favore, non dimenticate di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!”.

L’articolo di Pierfrancesco Curzi del Fatto Quotidiano:  Sarajevo ha sofferto troppo. Mai più guerra nella Gerusalemme d’Europa”. Lo stadio olimpico Kosevo, sede centrale dei giochi invernali del 1984, è catino ribollente per quasi 70mila fedeli. Sotto i 35° in cui è immersa la capitale bosniaca, il messaggio di Papa Francesco suona come un monito verso chi “fomenta un clima di guerra internazionale, di III Guerra Mondiale a pezzi”. A Sarajevo e in tutta la Bosnia non si combatte più da circa vent’anni, artiglieria e cecchini tacciono dopo le stragi e gli atti di genocidio a Srebrenica compiuti dai serbo­bosniaci guidati da Radovan Karadzic e dal braccio destro militare Ratlo Mladic.

Eppure la Bosnia sta attraversando un periodo delicatissimo, dopo le manifestazioni di piazza dello scorso anno contro il governo a “tre teste”. Il Paese, socialmente lacerato, non è stato in grado di andare oltre gli accordi di Dayton del novembre 1995, congelando un disegno istituzionale ormai anacronistico. Ad accogliere Papa Francesco ieri mattina (ottavo viaggio internazionale) all’aeroporto Butmir è stato il presidente di turno, il serbo Mladen Ivanic. Al suo fianco i colleghi che compongono la presidenza collegiale bosniaca, il musulmano Bakir Izetbegovic e il croato Dragan Covic, a capo di altrettanti partiti nazionalisti.

Il nazionalismo fa paura, ha fatto tanti danni nei Balcani e la ferita della guerra degli anni ‘90 è ancora aperta. “La collaborazione tra varie etnie e religioni in vista del bene comune è possibile.

Ho visto questa speranza nei bambini” ha detto Papa Francesco durante la breve visita nel Palazzo Presidenziale, prima di aver liberato tre colombi in aria, simbolo delle tre anime etnico­religiose. Messaggi di speranza, parole chiare e nette quelle di Papa Bergoglio. Già da oggi, purtroppo, col Pontefice rientrato in Vaticano, la speranza lascerà spazio al pericolo di una nuova crisi etnica. È dalla Bosnia che parte il maggior numero di combattenti pro­Califfato, i foreign fighters in salsa balcanica, nel Paese si ripetono i blitz della polizia per smantellare cellule jihadiste wahabite attive.

Le stesse che, secondo i moniti lanciati dal Ministro dell’Interno serbo­bosniaco due mesi fa, minacciavano un attentato proprio contro papa Francesco. Ecco perché oggi Sarajevo non può essere considerata la Gerusalemme d’Europa, tornare cioè ai tempi di Tito, quando musulmani, cattolici e ortodossi convivevano senza revanscismi.

Vent’anni dopo la fine dell’assedio serbo che ha causato 15mila morti, la popolazione ha accolto con gioia la visita del leader della chiesa cattolica. Grande calore anche dagli ambienti musulmani, meno da quelli ortodossi che abitano i quartieri serbi di Lukavac, Grbavica e Dobrinja. Gli stessi da dove, nel settembre 1994, si temeva potesse arrivare la minaccia verso l’allora pontefice Giovanni Paolo II. Wojtyla fu costretto a cancellare la visita in una Sarajevo sotto assedio e ripiegare su Zagabria. Quando, il 13 aprile 1997, arrivò finalmente nella capitale bosniaca, la guerra era finita e Karadzic, già latitante fu capace di dichiarare: “L’aereo papale potrebbe essere abbattuto, non può essere garantita la sua sicurezza”. Nel pomeriggio Papa Francesco ha incontrato il clero cattolico nella cattedrale, i capi delle altre comunità religiose e i giovani del Centro Diocesano. “Sarajevo lancia un messaggio di pace e coesistenza – dice Lejla Habul, 38 anni, nel 1994 ferita da un cecchino – si respira un’aria speciale, è un grande giorno per la Bosnia”

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Gianluca Pace