
MILANO – Maurizio Gucci, il marito che ha fatto uccidere a colpi di pistola? “In quel momento ero convinta che non fosse degno di vivere”. Non ha risparmiato le confidenze Patrizia Reggiani intervistata dal Giornale. La vedova Gucci ha scontato 17 anni di carcere quale mandante dell’omicidio del marito Maurizio, erede della dinastia Gucci. Ecco cosa racconta:
“Ho sempre cercato di non arrendermi mai agli eventi” dice la vedova Gucci che viene paparazzata a Milano mentre passeggia con un vistoso pappagallo sulla spalla. “Anche il tumore che ho avuto al cervello l’ho combattuto e continuo a farlo tuttora, quando ho qualche capogiro o improvvisamente non so dove sono per qualche minuto, anche con la mia forza di volontà ”.
Parla del carcere: “Il carcere mi ha reso ancora più cosciente del potere che ho sulle persone: al Victor residence, come io chiamo San Vittore, comandavo parecchio e tutte le detenute, indistintamente, mi obbedivano senza fiatare, apprezzando quel rigore che ho imparato dalla mia famiglia e dalla scuola, quando studiavo per diventare interprete parlamentare”.
E ancora: “All’inizio le ho prese, lo ammetto. Ma le ho subito restituite e con gli interessi. E da allora nessuno mi ha più toccata. Anzi le altre hanno iniziato a imitarmi, a truccarsi, profumarsi, a stare in giardino ore e ore a decorare i vasi, un’attività che mi ha salvato la vita… Credo di aver imparato ben poco in carcere, dove avevo senz’altro meno problemi che nel mondo esterno e mi sentivo in un certo senso protetta. In compenso ho insegnato parecchio, ho portato là dentro il mio mondo, non mi sono fatta sopraffare da quello che ci ho trovato”.
Poi l’inevitabile domanda sulla morte del marito:
“Non volevo Maurizio morto”, spiega a Paola Fucilieri, “era il padre delle mie figlie”. Ma, aggiunge la vedova Gucci, “in quel momento della mia esistenza, però, ero convinta che un essere come lui non fosse degno di vivere”. Perché? “Non lo dirò mai. Posso però confidarle che entrambi ci ‘innamoravamo’ delle persone al punto da credere ciecamente in loro. Lui, poi, era peterpaneggiante. Seguiva le persone sostenendone idee e progetti. Poi tornava sempre da me per ammettere, sconsolato: ‘avevi ragione tu’. Troppo buoni? Sì, eravamo troppo buoni”. Infine la Reggiani cita un detto di Oscar Wilde: “Credo molto nella giustizia, poco nella legge, per niente nella magistratura ed è forse per questo che ammiro così tanto Berlusconi”.
