Pd dopo Bersani: “Partito nuovo e aperto, lontano dal Pci”. Gualmini, Stampa

Gualmini: “Quale futuro per il Pd?”

Quali prospettive abbia davanti a sé  il Pd, dopo la musata battuta da Pierluigi Bersani sul portone di Palazzo Chigi appare molto difficile da capire e dopo avere letto il commento di Elisabetta Gualmini sulla Stampa viene anche da dubitare che ce ne siano.

Dove può andare infatti un partito come quello descritto dalla Gualmini, autoreferenziale e essenzialmente post comunista, incapace di capire la maggioranza dei cittadini di oggi.

Elisabetta Gualmini è di Modena, insegna Scienza della politica a Bologna, presiede l’Istituto Cattaneo e da tempo sostiene sulla Stampa la tesi della “vocazione minoritaria”, quasi bolscevica, del Pd nella società italiana del terzo millennio.

Scritto con quel dolce accento emiliano della pianura che fa da schermo a gente assai dura, l’articolo è un insieme di crudele ironia e di disincantata analisi politica:

“il progetto portato avanti dal segretario del Pd a partire dalle primarie/Congresso del 2009 pare arrivato al capolinea”.

Il capoverso che segue sembra scritto da Giovanni Guareschi:

“Doveva essere il primo leader post-comunista ad arrivare a Palazzo Chigi eletto dal popolo. Non arrivato lì per vie traverse, come D’Alema. L’allievo che supera il maestro. Avrebbe vinto «alla grande». Lo dicevano un po’ tutti, tra Bologna e Modena, se solo ti capitava di parlare di politica con gli appassionati sostenitori della ditta. Tutti semmai a chiedersi come sostituire il suo gemello, Vasco Errani, sulla plancia di comando della Regione, visto che sicuramente sarebbe salpato per Roma. Tutti pronti a festeggiare la fine della maledizione emiliana, di non aver mai partorito da un grembo così generoso leader nazionali. L’Emilia degli amministratori pragmatici, di poche parole, che risolvono i problemi rimboccandosi le maniche. I Bersani, gli Errani. E i Migliavacca”.

Poi l’analisi è del sociologo moderno:

“La sconfitta del «modello emiliano da esportazione» […] brucia un po’ come la febbre […] è andata a finire nel peggiore dei modi. Non tanto per il temporeggiamento decadente intorno a consultazioni inutili, non per l’immagine di un leader confuso e smarrito alla ricerca di qualche zattera di salvataggio addirittura fuori dal Parlamento, ma per quello scambio crudele restituito in maniera violenta e impietosa dalla diretta streaming tra Bersani e i 5stelle, tra due mondi paralleli, incapaci di capirsi, incapaci di parlarsi e di sfiorarsi. Tra l’esagerata strafottenza di chi, neofita al potere, si presenta come angelo vendicatore contro i soprusi ventennali della casta e un anziano, tradizionalissimo segretario di partito che ancora non si è accorto di aver probabilmente perso il suo più importante appuntamento con la storia”.

Gualmini è aspramente critica verso

“l’ossessione per l’identità e l’eredità del partito. Quello precedente al Pd, naturalmente. L’incomprimibile esigenza di perimetrare il «noi» rispetto agli altri. Per tenere stretto lo zoccolo duro degli elettori post-comunisti e dei giovani precocemente arruolati dalla ditta.Gli stessi d’altro canto che l’hanno sempre sostenuto e senza i quali la classe dirigente in cui Bersani si rispecchia (i segretari di federazione, i soldatini del suo battaglione parlamentare) non avrebbe nessuna rete di protezione”.

Torna Guareschi nella rievocazione degli

“anziani grinzosi e increspati dei Palasport e delle Feste dell’Unità a cui bastano poche immagini sperimentate e il rapporto sentimentale con la politica rievocato da tortellini e salsicce, tagliatelle e tombolate, birra e cotechino, bandiere Pd a mo’ di tovaglia, e l’eterno sottofondo dei rocker emiliani in pensione (dagli Stadio a Ligabue, da Guccini…a Vasco Rossi)”.

Qui Gualmini appare invece un po’ troppo delicata verso Bersani, che

“avrebbe voluto ridare «un senso a quella storia» ma non è riuscito a trovarlo”.

Sembra stupirsi del fallimento ad opera di uno che pure

“era il Ministro delle liberalizzazioni”.

Invece, proprio qui avrebbe trovate le radici del fallimento, che chi ha buona memoria aveva previsto, se avesse ricordato il fallimentare risultato della lotta agli ordini professionali, che dopo di lui che li voleva abolire sono invece aumentati e ai taxi, sempre più cari.

Elisabetta Gualmini guarda ad altre cause, di natura più politica e vede un “segno premonitore del crepuscolo” nel dogma di Bersani di un Pd (parole di Bersani)

“strutturato e radicato nel territorio. Che gli elettori vogliano un partito liquido è una stupidaggine. I nostri elettori ci chiedono di essere meglio organizzati e un po’ più solidi. La gente non vuole venire ogni quattro anni nei gazebo”.

Continua il tema Elisabetta Gualmini:

“Un partito organizzato in cui ci sono regole precise a cui tutti devono sottostare. Come nella famosa bocciofila, in cui «decide il circolo se devi giocare a punta oppure a goccia e non certo il giocatore». Un partito di sezioni e assemblee, teatro di estenuanti incontri in cui raccontarsi gli eventi dall’interno, tra di noi”.

Tutto bello, carico di nostalgia e amarcord. Peccato che questo porti a perdere

“di vista come gira il mondo fuori. Una autoreferenzialità cercata e difesa fino all’ultimo. Con una scia infinita di «Analisi del post-voto», «Agorà sulla difficile situazione del Paese», incontri su «Quale governo per l’Italia» e «Tutti per Bersani», mentre tutto stava andando a rotoli”.

La conclusione cui arriva Gualmini è desolante:

“C’è da chiedersi se il Pd ce la farà a dare una lettura della realtà all’altezza dello spirito dei tempi. C’è da chiedersi se la nuova generazione dei dirigenti democratici riuscirà a smarcarsi dal catalogo delle ossessioni e a praticare davvero il modello di partito nuovo e aperto, evocato quando il Pd fu fondato. Se ci sarà un’occasione vera per nuovi leader che sappiano dare senso a una storia del tutto nuova”.

Published by
Marco Benedetto